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Organizzazione
Sindacati Autonomi e di base
Settore
ferrovie
FISAFS
- COMU - UCS - SAPEC- SAPENT
Roma, 11 gennaio 2000
Ora, al fine di esplicitare più compiutamente il quadro, riteniamo utile
ripercorrere, brevemente, a ritroso l’iter compiuto, con senso critico e
con la consapevolezza propria di chi ha intrapreso una giusta vertenza ed
intende, confidando nell’altrui senso di responsabilità, ricorrere
all’ “arma” dello sciopero come estrema ratio.
La vertenza, in un primo momento aveva visto tutte le OO.SS., operanti
nelle F.S., noi compresi, unite nella presentazione di un documento
congiunto che sanciva, quale elemento caratterizzante, la condivisione
dell’esigenza di una efficace clausola sociale che fungesse da
regolatrice per le imprese esercenti il trasporto ferroviario, in
particolare sotto il profilo del contratto di lavoro, analogamente a
quanto previsto nel trasporto locale dalla vigente normativa.
Tale obiettivo si era ritenuto prioritario proprio per evitare fenomeni di
dumping analoghi a quelli che oggi si stanno verificando in altri settori
soggetti a processi di privatizzazione e che tante difficoltà nel mondo
del lavoro hanno provocato e continuano a creare.
Occorreva dunque un nuovo patto per le ferrovie che da un lato garantisse
i lavoratori e dall’altro che questi s’impegnassero, in un clima di
certezze e tutele, in un’azione di risanamento condiviso, in un quadro
di rinnovati obiettivi ed impegni per l’Impresa e per lo stesso Governo
non solo sul versante degli investimenti, ma anche sul versante dei
livelli occupazionali (atteso che nel periodo di vigenza contrattuale non
sarebbero intervenute, poiché non previste, significative innovazioni
tecnologiche).
Tale era l’unica premessa possibile e necessaria per poter richiedere ed
ottenere un maggior impegno da parte del lavoro.
Questo
non si è invece realizzato; infatti nel corso della riunione del 17
novembre esprimemmo con chiarezza il nostro punto di vista, e, pur
tuttavia, nel conseguente accordo del successivo 23, è mancata
quell’efficace clausola sociale in tal senso e tale circostanza è
risultata per di più aggravata dal fatto che il contratto prefigurato,
essendo un fittizio “contratto di sistema”, si è dimostrato in verità
uno strumento per disarticolare surrettiziamente il contratto aziendale in
vigore senza offrire alcuna protezione ai lavoratori.
Lo scenario all’orizzonte appare in tal modo quello che offre alla
categoria dei ferrovieri un contratto collettivo di lavoro di I livello
(di settore) più basso nelle retribuzioni e più alto nelle flessibilità
senza alcuna garanzia nel contratto di II livello (aziendale).
Infatti le norme di raccordo tra il nuovo contratto di primo livello e
quello di secondo, che, si afferma, dovrebbero garantire i trattamenti in
godimento ai ferrovieri in servizio attraverso il nuovo istituto
dell’E.R.I. (Elemento Retributivo Individuale), offrono una “tutela”
parziale e non efficace. Lo stesso E.R.I infatti viene riconosciuto
soltanto per la vigenza contrattuale e non è automaticamente destinato ad
operare nel caso di trasferimento, totale o parziale, dell’azienda ex
art. 2112 c.c.
In tale ipotesi, il nuovo datore di lavoro (o uno creato ad hoc)
subentrante potrebbe non aver l’obbligo di applicare il contratto
aziendale del cedente ma
quello di sua scelta, che potrebbe (anzi è probabile) identificarsi con
il nuovo contratto nazionale delle attività ferroviarie, determinando così
la paradossale conseguenza per cui il contratto di
primo livello risulterebbe il mezzo per negare pezzi significativi
di retribuzione attualmente percepita dai lavoratori quale, è opportuno
ribadirlo, salario fisso: parte dello stipendio base, classi e scatti, EDR.
Non solo; tutti i trattamenti affidati, nella fase di prima applicazione,
alla trattativa di II livello (aziendale), nella ipotesi di trasferimento
di ramo d’azienda, potrebbero essere posti in discussione persino
durante la vigenza contrattuale e
quindi ancor prima del 2003.
Appare subito evidente come, in uno scenario che si muove in una logica di
privatizzazione e societarizzazione, tale ipotesi sia tutt’altro che
peregrina e la nostra preoccupazione tutt’altro che destituita di
fondamento.
D’altra parte le notizie stampa (e soltanto quelle), secondo le quali la
garanzia dell’E.R.I. trarrebbe origine dal trasferimento patrimoniale da
F.S. al Tesoro, ne appaiono l’inoppugnabile conferma; così come ne sono
testimonianza le dichiarazioni del Presidente della F.S. s.p.a. al
quotidiano “Il sole 24 ore” del 26/11/99.
Il Presidente infatti con un’interpretazione, possiamo immaginare,”di
parte” dell’accordo, ma proprio per questo importante, considera
l’E.R.I. garantito soltanto fino al 2003 e lo quantifica in circa 1000
miliardi l’anno, illustrando in tal modo la dimensione corposa
dell’istituto e, per quanto ci riguarda, la gravità (anche in termini
quantitativi) del pericolo che corre parte della retribuzione, attualmente
in godimento, dei ferrovieri.
Al di là di ulteriori considerazioni sull’accordo, intendiamo ribadire
che gli aspetti appena accennati, assumono
per la scrivente O.S. carattere assolutamente dirimente e preliminare alla
firma di qualsivoglia accordo; tanto più un accordo, come quello del 23
novembre u.s., il quale non solo non garantisce alcunché, ma lascia per
di più ipotizzare uno scenario in cui il sacrificio, richiesto in termini
di intervento sul costo del lavoro, va ben oltre quel 18-20% valutato dal
Governo con la promessa di non pregiudicare i livelli di reddito. Nello
stesso accordo, infatti, non figura alcun cenno circa l’incidenza,
sull’obiettivo di recupero (18-20%),
dell’incremento pari all’inflazione programmata secondo la
previsione dell’accordo interconfederale del 23 luglio; tale incremento,
non previsto per la categoria dei ferrovieri, non è neanche conteggiato
nel recupero.
Infine, senza voler rimarcare in questa sede il nostro disappunto per il
metodo adottato che ha visto i (tre) sindacati sottoscrittori protagonisti
di trattative segrete, preliminari alla stesura dell’accordo, peraltro
senza la consueta approvazione di una piattaforma e conseguente mandato da
parte dei delegati, e ritenendo ancora possibile correggere i gravi
aspetti, di fondamentale importanza, puntualmente contestati in sede
d’incontro il 17 novembre, consideriamo assolutamente indispensabile e
prioritaria rispetto a qualsiasi intesa di natura contrattuale, la
soluzione dei problemi sopra esposti.
In conclusione, dunque, l’invocazione di provvedimenti governativi
coercitivi del diritto di sciopero, esprimono l’auspicio di tacitare, ci
preme sottolinearlo alla S.V., con strumenti non troppo democratici,
l’unico mezzo di esternazione del nostro dissenso e di difesa delle
nostre sopra esposte ragioni,
peraltro mai revocate in dubbio da parte dei Ministri del Tesoro e dei
Trasporti.
Tale preoccupazione
appare inoltre aggravata dal fatto che, nonostante le nostre
insistenti richieste di sottoporre al parere referendario dei ferrovieri
l’accordo stipulato il 23/11/99, le OO.SS. stipulanti lo stesso si siano
opposte fermamente, impedendo in tal modo la libera espressione
dell’opinione da parte dei diretti interessati dall’accordo.
Appare quindi, in definitiva, ancor più evidente, da quanto fin qui
esposto, come l’unico strumento per poter esprimere le ragioni del
dissenso, nostro e dei lavoratori, al fine di porre rimedio ai deleteri
effetti del citato accordo del 23/11, sia il ricorso ad azioni di
astensione dal lavoro e dunque all’esercizio del diritto di sciopero.
E’ una esigenza questa che Le rappresentiamo, quale Soggetto super
partes, garante delle Libertà costituzionali,
e che assume ancor più rilevanza
e pregnanza in questo frangente in cui, a prescindere dallo specifico
merito della vertenza F.S., si invocano provvedimenti governativi
d’urgenza che minano il diritto di sciopero e le libertà che sono alla
base di un sistema di convivenza democratica.
La Segreteria Generale

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la seconda lettera inviata
Signor
Presidente della Repubblica Italiana
Prof. Carlo Azeglio Ciampi
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