La Repubblica delle Donne 24.07.04

L’università delle molestie impunite

 

INCHIESTA: Dal porno-docente assolto a Camerino a 60 denunce contro professori di Roma che non sono mai arrivate al giudice:mappa di un sopruso sessuale coperto dalle omertà.

di  Alessandra Baduel

L'assoluzione in primo grado, lo scorso giugno, non ha fatto che confermare l'irresistibile fascino dell'anziano professore. Ezio Capizzano era accusato di violenza sessuale, concussione, corruzione e peculato A sessantotto anni l'ex docente di Diritto Commerciale all'università di Camerino, dove fu scoperto che aveva rapporti con varie studentesse, ha dichiarato che rifarebbe tutto, film porno degli incontri compresi. A parte una migliore selezione delle ragazze, secondo lui troppo ipocrite per ammettere che erano «partecipi e

contente» delle sue attenzioni. Una delle due che lo accusano di violenza, per la quale gli avvocati Saverio Manfroci e Francesca Forani annunciano il ricorso in appello, sogna di tornare nell'anonimato: «Con magistrati competenti», dice. "ci sarebbe stata una condanna esemplare. Io ci contavo, altrimenti, come tante, non avrei denunciato».

Forse non è un caso che emergano raramente episodi di molestie in ambiente universitario, dove la casta dei professori è intoccabile. Non solo in Italia. Negli Stati Uniti una femminista affermata come Naomi Wolf è arrivata oltre i quarant'anni prima di riuscire a raccontare la mano stretta sulla coscia (preceduta dalla frase: "Hai l'aura dell'eletta") dal noto e carismatico critico letterario di Yale Harold Bloom, dal quale sperava, in una sera del lontano 1983, di avere un parere sulle proprie poesie. Lui ha reagito facendo sapere che all'epoca la aiutò ad ottenere una borsa di studio. Come a dire: se davvero ci ho provato e sono stato respinto, pensate che dopo l'avrei aiutata? Conclusione: Wolf è stata accusata di aver parlato dopo troppo tempo e sospettata di mentire per farsi pubblicità. E Yale non ha ritenuto di dover prendere provvedimenti. Irritata la scrittrice ha denunciato: «Il clima di collusione che aveva contribuito a tenermi buona venti anni fa è ancora intatto».

 A Camerino intanto, Mario Megna, rappresentante degli studenti nel Consiglio di facoltà di Giurisprudenza ha commentato l'assoluzione di Capizzano con una lunga dichiarazione in favore del professore: “E’ una persona comprensiva, se poi qualcuno ha capito la sua debolezza e ha saputo approfittarne, è un'altra storia». All'epoca del fatto, il 2002, per recuperare il danno d'immagine, l'università, licenziato il professore, finanziò una campagna pubblicitaria con una mela marcia fotografata fuori da un cesto di ottima frutta. Ma gli studenti, in un documento d'assemblea,condannarono sia il professore che, alla pari, «le po- che studentesse coinvolte”.

Persino su illuminati mass media la discussione sul caso non è riuscita a uscire dallo schema classico: «Perché le ragazze non sono fuggite? Perché non hanno denunciato subito?». Oppure: «Perché si sono a vendute per un voto o una tesi?». Domande, sebbene unilaterali, legittime. Il rapporto alunna-professore si svolge tra due adulti maggiorenni, quindi, da un  punto di vista giuridico, capaci di scegliere. Ma che non prendono in considerazione né il contesto educativo né i ruoli di potere all'interno dell'Università.

E' facile e quasi scontato per una giovane studentessa (ma sospettiamo che sia lo stesso anche per gli studenti maschi) sviluppare un rapporto di fascinazione col professore guru. Surrogato di un genitore da cui ci si comincia ad emancipare con l'ingresso in un mondo adulto. Il clima di sfida intellettuale contribuisce a creare anche una certa frizione sessuale.

"Per me chi scappa dalla stanza è uguale a chi non scappa. Quando il rapporto di potere è falsato non c’è libertà di scelta”.

Ma la relazione è comunque falsata, "Consenso o no, il rapporto non è mai alla pari" commenta il responsabile nazionale dell'Unione degli studenti universitari Triestino Mariniello. E accusa un intero sistema: il fatto è che l'università non è più un luogo di formazione, è solo un "esamificio" baronale dove il professore può cambiarti il corso della vita. E dove le molestie sono diffuse come lo sono i soprusi d'ogni genere che bisogna subire per rincorrere un esame».

 

Perché non denunciano?

Capizzano, stimato docente molto popolare fra gli allievi e con tante amicizie importanti, era stato scoperto solo perché uno stock di video girati da lui di nascosto mentre aveva rapporti con varie universitarie nel suo studio in facoltà, trafugato, era finito in circolazione.

Condannato in aprile dalla Corte dei Conti a pagare 120.000 euro di danni all'ateneo, con motivazioni che includono la "rendita di posizione" sfruttata per avere quei rapporti, il 7 giugno è stato assolto dalle accuse penali (nel caso della violenza sessuale, per insufficienza di prove), e sono state assolte assieme a lui anche tre delle giovani, a loro volta accusate di corruzione del docente. L'avvocata Teresa Manente, responsabile dell'ufficio legale di Differenza donna, che gestisce i centri antiviolenza del Comune di Roma per correttezza non si pronuncia sul processo. Ma osserva: «Con un professore non può esserci mai un rapporto alla pari. Per me, quella che non scappa dalla stanza, accetta tutto e non denuncia. è uguale a quella che scappa. In casi simili, non ho mai visto una vera libertà di scelta. Sono giovani donne il cui eventuale consenso è viziato dalla posizione di supremazia dell'altro, anche a prescindere dal "ricatto" sull'aiuto per la carriera. Il docente deve trattenersi, anzi respingere le attenzioni, in caso venissero dalla ragazza. Quanto a Camerino è un luogo piccolo e legato all'ateneo: secondo me il processo poteva essere diverso, se non si fosse svolto lì».

Le opinioni sul mondo universitario l'avvocata Manente se le è formate lavorando. «A Roma, i centri antiviolenza esistono dal '92», prosegue, "ma le universitarie vengono solo dal Duemila. E non arrivano mai alla denuncia, come ormai accade spesso in altre situazioni: sono più deboli delle stagiste, più subalterne. Hanno paura di dirlo ai genitori, non si sentono protette da nessuno. In questi anni, io sto vedendo di certo la punta di un iceberg: una sessantina di ragazze, molte di Giurisprudenza, Medicina, Psicologia, Lettere. Vengono da noi perché evidentemente, nelle tre università romane non c'è uno sportello realmente funzionante. In genere, ci sono amiche, che confermano: con quel professore è successo anche a loro di essere toccate, e, costrette a toccare. Ma quando io propongo una querela collettiva, che aiuti ad avere la forza di procedere, le amiche si tirano indietro non vogliono mettersi contro il docente. Piuttosto si confidano con l'assistente e chiedono di non lasciarle più sole in quella stanza ad "approfondire le materie", oppure cambiano tesi e scontano un rallentamento nel ciclo di studi scegliendo di rimandare l'esame per anni, finché non trovano il modo di farlo senza il professore".

Da un'altra città, più piccola e con una realtà universitaria consistente, le operatrici della Casa delle donne chiedono anonimato assoluto, prima di segnalare che sì, le studentesse, subiscono ricatti e molestie- anche gravi, con tentativi di stupro, da parte dei professori.

Ufficialmente però non se ne sa nulla.

A Messina - dopo anni poco felici per l' università, tra esami venduti, appalti sospetti e persino omicidi – è in corso la vicenda giudiziaria del professore di Diritto della navigazione Elio Fanara, purtroppo suicida dopo essere finito agli arresti domiciliari per le circostanziate accuse di nove studentesse costrette, oltre, che a subire molestie, a preparare yogurt e confezioni regalo di torroncini e limoncello.

A Bari, dove lo scorso ottobre una giornalista di Repubblica e stata protagonista del tentato ricatto sessuale di un amministrativo, dei casi di professori molestatori furono denunciati dal centro antiviolenza la Giraffa nel '97. Ida Mastromarino, all'epoca responsabile dell'iniziativa, racconta: “Ci scrivevano in molte, anonime, ma nessuna denunciava alla magistratura. Incaricata, tentai per un anno intero di fare un centro d'ascolto dedicato all' università, invano”. Oggi, un centro ufficialmente sta partendo. C'è un numero verde che avvisa: la telefonata sarà registrata. All'altro capo dei filo tutte figure interne all'ateneo.

Finora, nessuno ha telefonato.

 

Contromisure Insufficienti

Il capitolo "contromisure" è uno specchio fedele del clima generale. Nelle università sono previsti, come in tutti i luoghi di lavoro, i Comitati di pari opportunità - e ne esiste uno anche a Messina. Il loro Coordinamento nazionale però è volontario, informale, in contatto con il Ministero Pari Opportunità e senza notizie da quello dell'Istruzione.

La responsabile Grazia Morra, dell'università di Padova (vedi box nella pagina precedente), dà le cifre: «Su 77 atenei, a fine giugno risultavano esistere solo 27 Comitati. Il secondo passo sarebbe quello di adottare un codice di condotta contro le molestie morali e fisiche di varia gravità: risulta esistere in otto atenei. Il codice prevede un consigliere / consigliera dì fiducia esterno a cui rivolgersi, che può fare tre cose: tentare la conciliazione informale, seguire il percorso formale interno (con sanzioni disciplinari) e infine, o in parallelo, aiutare la vittima a rivolgersi alla magistratura. Sempre in giugno, risultava operativa una sola consigliera. Altre, da contare sulle dita di una mano, lo saranno in ottobre».

Sono i numeri di una lunga battaglia che sta lentamente portando le università italiane ad avere almeno l'indispensabile: una persona competente e non di parte che riceva con le dovute tutele le denunce,

Ma anche questo non sembra sufficiente. Lo fa temere l'esempio di Torino: in due anni e quattro mesi, la consigliera ha visto arrivare un'unica studentessa.

Nel marzo del 2001, prima in Italia, quell'università ebbe un codice etico contro mobbing e molestie. Dal febbraio dei 2002, c'è l'avvocata Alida Vitale: prendere appuntamento è facile le indicazioni sono nel sito dell'università, sono stati fatti i seminari di presentazione, c'è un opuscolo. Niente da fare. "Mi sono stati sottoposti vari casi», dice l'avvocata, «ma di molestie, con un professore che le ha chiesto una prestazione, finora mi ha parlato solo una laureanda che non sa se procedere. Ha paura di perdere la borsa di studio. Le difficoltà sono sempre queste: passare l'esame, avere la borsa, il dottorato».

Vitale non ha dubbi: il vuoto davanti alla sua porta non è un segno positivo. «Tempo fa, è venuto un docente di Scienze politiche a chiedere: “Allora , ne arrivano tante dalla mia facoltà, vero?" Lui non conosce i dettagli, ma conosce il clima. E così: qualcosa accade, però non viene fuori. Se capita il guaio, le ragazze cambiano corso di studi, o accettano. Bisogna diffondere più informazioni, far capire che le vie d'uscita ci sono, anche senza rovinarsi la carriera universitaria».

Giovanna Grignaffini, capogruppo Ds alla commissione Cultura della Camera. ha due proposte: «Dovrebbe essere lo stesso corpo accademico a rompere ogni omertà e sanzionare mentre bisogna creare regole certe e trasparenti per l'accesso ai vari passaggi di carriera dello studente come del neolaureato e via dicendo. In una parola, far entrare un poco di democrazia in un sistema universitario dove oggi vige la baronia». Grignaffini, che insegna al Dams di Bologna, fa un esempio semplice: «Con seicento studenti che seguono il corso, magari ne arrivano cento a chiedere la tesi e tu devi scegliere: dipendono dalla discrezionalità del docente. E in ogni sistema di dipendenze si crea un clima diffuso di. comportamenti di un certo tipo visti anche con "bonarietà"».

E’ proprio quello che è successo a Camerino Ne parla sotto anonimato («per motivi riguardanti l'attuale lavoro») un neolaureato che nei 2001 faceva Scienze politiche nella facoltà di Capizzano. «Quel professore era ben visto», racconta, organizzava cene per tutti, si sapeva che gli piacevano le ragazze, ma vai a immaginare che fosse cosí... Comunque secondo me l'abuso della posizione c'è: il docente è molto più in alto di te, anche rispetto a un datore di lavoro". Il rettore Ignazio Buti dopo l'assoluzione non ha rilasciato alcun commento. Ma per le studentesse ora è cambiato qualcosa? Difficile da capire. Il Comitato non c'è. Le referenti segnalate da Grazia Morra non se ne occupano più, per motivi familiari. Il rettorato ci indica la professoressa di Sociologia Patrizia David. Che spiega: «All'epoca tentammo di fare il codice di condotta con le quattro università delle Marche: secondo le colleghe di Urbino, Pesaro, Ancona, il problema da loro c'era. Ma è naufragato tutto.

C’e bisogno da regole certe che rompano l'omertà e garantiscano la carriera degli studenti in un ambiente oggi non democratico.

Da noi, in una riunione del Consiglio di facoltà di Giurisprudenza, dove lavorava Capizzano, ci fu un'aspra discussione. Alcuni colleghi dissero che fare il codice era ammettere un problema inesistente. E sia pure in pochi, c'erano persino quelli convinti che fra le ragazze, qualcuna "se l'era cercata".Il giorno dopo ci telefona la professoressa Gloria Cristalli delegata del rettore al tutorato, quasi allarmata, elencando una serie di contromisure: «Abbiamo i tutori di supporto degli studenti, facciamo incontri ripetuti nell'anno con l'aiuto di studenti seniores e abbiamo potenziato il ruolo dello psicologo, con garanzie di segretezza».

Da Padova, Grazia Morra avverte: «Molti Senati accademici vogliono gestire i Comitati inserendo proprie commissioni per avere la maggioranza nella nomina del consigliere di fiducia. A Genova ad esempio, da un questionario preparatorio per il codice risultavano molte molestie, ma il consiglio d' amministrazione ha nominato consigliere il medesimo garante dell'università e così, il dato non emergerà mai».

 

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Un codice tutto da sperimentare

All’Università di Padova il codice di condotta sulle molestie morali e sessuali (è un intero libro sul tema (che si può leggere on line a

www.unipdorg.it/pariopportunita/mobbing/mobbing.htm

è stato scritto dopo una indagine interna curata dal Comitato Pari Opportunità e da un gruppo di ricerca della facoltà di Psicologia. Al questionario, di tipo psicologico, hanno risposto 640 ragazze e  160 ragazzi delle otto facoltà più importanti, tutti dell’ultimo anno.

Spiega la Professoressa Chiara Lavorato, coordinatrice della ricerca: Abbiamo diviso le molestie in tre tipi: richieste implicite o esplicite di rapporti sessuali in cambio di vantaggi nello studio. Attenzioni sessuali non gradite come complimenti marcati, molestie di genere ovvero azioni o comportamenti sessisti, come appendere un calendario sexy alla parete o dire “che ci fa una donna a ingegneria”. Risultato: il 45% ha visto o subito molestie di genere. Il 12% parla di attenzioni non gradite e una media del 6% fra le varie Facoltà denuncia ricatti sessuali, con un massimo del 13% a Medicina. Forse, però la risposta più importante, l’ha data chi non ha risposto. Come a Giurisprudenza.

Sottolinea  Levorato: “ in quella facoltà le ragazze non volevano proprio fare il questionario e chi l’ha riempito ha negato ogni problema. E quando la ricerca è passata al personale docente  femminile, quasi tutte, pur in condizioni di privacy ed anonimato, si sono rifiutate di compilare quei fogli”. Nella stessa Padova, non mancano le difficoltà:il codice è stato approvato in aprile, la consigliera comincerà a lavorare in ottobre, ma la professoressa Silvana Badaloni, del Comitato Pari Opportunità, avverte: “ Già in sede di discussione un collega ha voluto aggiungere che “ i contatti fisici indesiderati e inopportuni” sono sanzionati solo se volontari. In pratica il professore può sempre dichiarare che il contatto fisico non era volontario. E così il serpente si morde la coda.