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Si.Può OR.S.A. Sindacato Personale Universitario Organizzato Con l’adesione del Si.Può si è costituito nell’OR.S.A. il sindacato dell’Università. Il
Si.Può è nato nel 1996 sulla base di una critica alla firma per adesione
dei contratti peggiorativi siglati da Cgil-Cisl-Uil,
firma scambiata dalla Cisal e dalla RdB-Cub con i diritti sindacali
per le organizzazioni. Il gruppo fondatore riaffermava così
(si può) una possibilità, quella di costruire un’organizzazione
di difesa degli interessi dei lavoratori senza cedere alle pressioni del
monopolio confederale e alle regole della concertazione. Il sindacato OR.S.A. è già
presente, con le sue organizzazioni, nei settori dei trasporti (dove tra
l’altro è uno dei sindacati maggiormente rappresentativi), nei servizi,
nello spettacolo, nelle telecomunicazioni e nell’energia. L’intervento nelle università e
negli istituti di ricerca, pubblici e privati, rappresenta l’apertura di
un momento di confronto tra lavoratrici e lavoratori di settori diversi nel luogo in cui si compiono scelte
fondamentali per il futuro del paese, crocevia economico e culturale degli
attuali assetti di potere. Nelle università italiane si sono
prodotti grandi conflitti: da qui spesso hanno preso avvio criticità e
consapevolezza delle relazioni di dominio presenti nella società, della
natura di classe degli assetti di potere, della necessità di unire le
forze per migliorare le condizioni di vita e di lavoro. Il padronato ed i governi, di centro
sinistra e di centro destra, hanno sempre cercato di controllare
l’università, la conoscenza, la riproduzione dei saperi e la loro
trasmissione ai giovani, affinché fosse funzionale all’attuale assetto
economico e politico. Confindustria
utilizza ormai percorsi alternativi per i suoi rampolli.
Nell’università di massa, i cui costi stanno diventando inaccessibili,
si restringe lo spazio della conoscenza, intesa come esperienza libera e
critica, per lasciar posto all’apprendimento meccanico di informazioni
tecniche. In questa direzione
si dispiega la riforma della
didattica, la modifica dello stato giuridico e la privatizzazione. Un aspetto non secondario della
“modernizzazione” delle università , che negli ultimi tempi ha
assunto ancora maggiore consistenza, è il diffuso nepotismo, la
cooptazione dei professori sulla base di criteri di affidabilità e
requisiti di adattabilità, a cui consegue lo scadimento complessivo della
qualità didattica e della ricerca. La gestione del personale punta alla
corruzione, attraverso strumenti premiali, quote di salario e benefit
distribuiti segretamente e senza precise connessioni sulla quantità o
qualità della prestazione lavorativa.
Spesso si tratta di quote di salario consistenti, considerando le
basse paghe base. E’ stato privatizzato il rapporto
di lavoro di tutti i dipendenti del pubblico impiego, compresi gli
insegnanti della scuola superiore. Nell’università i professori ed i
ricercatori hanno finora mantenuto lo status di pubblici
dipendenti, le garanzie normative connesse in termini di congedi,
aspettative ed altri diritti nonché gli aumenti biennali dello stipendio,
le cui progressioni sono votate dal parlamento. Migliaia di giovani che insegnano
oggi nelle università o vi fanno ricerca non hanno però alcuna di queste
garanzie, perché considerati studenti in formazione (assegnisti,
borsisti, dottorandi, specializzandi, frequentatori, ecc.) o assunti come
tecnici precari. Questo è accaduto mentre si dava
avvio alla privatizzazione di tutto l’apparato di supporto alla
didattica e alla ricerca, i tecnici veri, i bibliotecari, gli
amministrativi, gli ausiliari, entrati negli ultimi dieci anni come
lavoratori socialmente utili, con collaborazioni coordinate continuative,
lavori a progetto, finti
rapporti di lavoro autonomo. In
molti casi si tratta di lavoratori ricattabili (più di 35.000 contro i
55.000 dipendenti a tempo indeterminato e determinato contrattualizzati). Questi giovani reggono il
funzionamento della macchina universitaria e spesso sono coloro che
ci curano, nei policlinici, nei servizi di pronto soccorso quando
molti professori sono impegnati nelle loro cliniche private. Così nei laboratori, nelle aule,
negli altri servizi troviamo sempre più personale che non ha diritto di
parola e al quale non è consentito l’esercizio della critica e degli
altri diritti fondamentali. Agli atenei, consegnati nelle mani di
pochi professori ordinari, delle loro massonerie o combriccole, dei loro
comitati d’affari, sono stati progressivamente ridotti i finanziamenti
necessari al mantenimento di un’istruzione superiore pubblica e di
servizi per tutti. Nel giro di pochi anni le università
sono cambiate: studiare costa molto di più,
le borse di studio finiscono nelle tasche di chi non ne ha bisogno,
l’insegnamento è fatto da giovani e portaborse senza libertà di
insegnamento perché i titolari sono impegnati a cercare denaro e
finanziamenti o a lavorare per enti, ditte ed istituzioni più
remunerative. La ricerca è ormai quasi esclusivamente orientata al
perseguimento di interessi di profitto piuttosto che collettivi. Gli studenti sono trasformati in
utenti passivi, coinvolti in aspetti secondari della gestione, esclusi dai
processi decisionali di comando del sistema universitario, che non passa
più attraverso gli organi di governo tradizionali: i consigli di
amministrazione e i senati accademici. Nelle Università è quindi sempre più
d’attualità un grave
problema di democrazia. Un senso di deferenza e di inferiorità
indotto da un ambiente accademico gerarchico
impedisce alla maggior parte di coloro che vengono a contatto con
l’istituzione in posizione subalterna di discuterne le scelte e
gli indirizzi: le
organizzazioni dei lavoratori, anche quelle alternative e non
tradizionali, guardano all’università come al tempio del sapere e non
al mercato dell’inganno. Il
nostro impegno di questi anni all’interno degli atenei ci ha convinto
che non esistono scorciatoie: si deve lavorare all’interno, tra il
personale, ma anche negli
altri settori di lavoro perchè entrino senza complessi nelle università e dicano la
loro. Lottiamo
per un ambiente di lavoro non sessista e perché tutti i contratti e tutte
le politiche siano orientate
alla parità salariale e professionale.
Ciò favorisce ogni individuo, al di là del suo genere. Il nostro sindacato incoraggia le donne ad inserirsi in
professioni tradizionalmente maschili e gli uomini alla condivisione del
lavoro di cura e domestico. Chiediamo
alle università che si
facciano carico, nei contratti di ogni livello, della biografie delle
donne e degli uomini, sia per quanto riguarda i livelli salariali sia per
la formazione e la carriera. Insieme
ai lavoratori degli altri settori siamo interessati ad impegnarci per la
crescita culturale della popolazione, di fronte ad una sempre più
consistente descolarizzazione o
alle politiche di sola formazione parcellizzata e acritica. Questo
significa che lavoriamo in tutte le direzioni contro le gerarchie ed i
fenomeni di occultamente della verità che le sottendono. Il
modello sociale americano mostra la sua
cultura di morte insita nell’avidità del consumo, il suo retroterra di
alienazione totale. Nella
nostra storia di europei, attraversata da libertà-uguaglianza-solidarietà,
c’è un limite antropologico ancora saldo che, per il momento, resiste.
Le
politiche liberiste mostrano con maggiore evidenza le loro contraddizioni
sul tessuto sociale, attraversato da secoli di lotte operaie e
democratiche. In questo contesto
le università, le scienze e le tecnologie possono servire i bisogni degli
esseri viventi, armonizzandosi con la natura o, viceversa, servire il
mercato e il profitto, entrando in contraddizione con le stesse condizioni
di sopravvivenza del pianeta. Lo
spostamento da una parte o dall’altra è determinante per noi tutti, non
solo per i lavoratori del settore. A partire da qui, quindi, i lavoratori
del settore, su cui grava una responsabilità storica, sono tra i più
soggetti alle pressioni capitalistiche e nei loro confronti si attua, in
maniera più forte che altrove, il ricatto sociale. Queste
lavoratrici e questi lavoratori vogliono costruire una sponda,
attraverso la solidarietà e la partecipazione di tutti gli altri
settori democratici della produzione
e della società. Chiediamo
un contratto per tutto il personale dell’università: i professori, i
ricercatori, i tecnici, il precariato intellettuale ed amministrativo e
vogliamo che i prossimi contratti nazionali ed integrativi di ateneo siano
migliori di quelli che abbiamo avuto sinora. Chiediamo
quindi, con coerenza, che la contrattualizzazione dei docenti sia
accompagnata da serie garanzie sulla libertà di ricerca e di insegnamento
per tutti gli operatori della cultura, di ogni categoria, ordine e grado. Questo
ci darà più forza e la possibilità di lottare uniti contro il
peggioramento delle nostre condizioni di lavoro e
contro l’imbarbarimento culturale complessivo.
Anche
nelle università qualcosa si muove. Ma la maggiore speranza nasce dal
sapere che anche negli atenei di altri paesi, nelle grandi come nelle
piccole aziende, nelle campagne delle colture responsabili, nei settori
pubblici come nei privati, un numero considerevole di soggetti è pronto a
mettersi in gioco e a muoversi. Sapere
che abbiamo più forza di quello che vogliono farci credere apre una nuova
pagina nel libro della fiducia, in noi, nei nostri colleghi, per il
superamento di un diffuso senso di impotenza, oggi il maggiore ostacolo
rispetto ad una prospettiva di rinascita sociale e di risposta agli
interessi collettivi. Sappiamo
che un nuovo contratto, migliore di quelli precedenti, si gioca solo in
minima parte al tavolo di trattativa. Da anni questo “tavolo” è un
luogo di ritrovo tra un’unica parte, in rappresentanza di un unico
interesse. La
nostra principale forza è la nostra determinazione, un argomento che può
impressionare i rettori, il governo e l’Aran (l’agenzia del governo
per il pubblico impiego, subalterna agli interessi confindustriali).
Salvaguardare
i contratti collettivi nazionali, aumentare i salari, definire nuove
regole per rendere compatibile la tutela dei diritti dei lavoratori con un
riferimento europeo, ripartire il lavoro anche attraverso la riduzione
d’orario in un quadro di norme nazionali ed europee, eliminare le
politiche di divisione del personale attraverso differenziazioni salariali
fiduciarie, ridare centralità al lavoro
valorizzandone la sua funzione sociale,
difendere il lavoro come diritto di tutti,
lo stato sociale e le condizioni di vita dei lavoratori in
pensione, sono gli elementi centrali della nostra azione sindacale. Il
settore università nell’OR.S.A. vuole, per parte sua, contribuire allo
sviluppo di una organizzazione aperta
alle diversità dei percorsi e delle esperienze ma, allo stesso tempo,
capace di costruire lotte sociali incisive per la salute psichica e
fisica, una vita dignitosa, una pensione e una vecchiaia serena,
l’uguaglianza fra le persone e fra i sessi, la libertà di pensiero, di
parola, di azione e la salvaguardia dell’ambiente e dell’ecosistema. Roma, aprile 2004 La Segreteria Naz.le/Gen.le Segreteria Naz.le/Gen.le: sg.sipuo@sindacatoorsa.it Segretario Naz.le/Gen.le: Grazia Morra graziamorra@sindacatoorsa.it
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