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Relazione introduttiva del 1° Congresso Nazionale OR.S.A. Ferrovie27-28-29 Aprile 2004 - Chianciano Terme (SI) Introduzione Nell’aprire
i lavori del Congresso dell’OR.S.A. - ferrovie
mi è gradito rivolgere un cordiale e caloroso saluto a tutti i
graditi ospiti presenti, ai congressisti ed ai componenti del Consiglio
Generale uscente. Un
saluto particolare alle numerose Autorità, politiche e aziendali, la cui
presenza qui è testimonianza di sensibilità
ed attenzione alle tematiche del lavoro e dei ferrovieri in particolare,
ed ai colleghi dei Sindacati francesi, spagnoli ed inglesi, qui convenuti
e partecipi di un percorso che ci accomuna in ambito europeo. Un
saluto ai colleghi, amici, compagni di ventura degli altri sindacati
italiani presenti. Un
ringraziamento va ai nostri numerosi delegati, quadri sindacali, RSU ed a
tutti i componenti della nostra organizzazione che hanno contribuito con
il loro lavoro e il loro impegno al dibattito precongressuale che ha
condotto a questa assise. Un
commosso saluto vorrei rivolgere al nostro indimenticabile amico, Antonio
Barria, che, dopo aver accompagnato la nostra esperienza sindacale per
lungo periodo, recentemente ci ha lasciato: a Lui, che tanto impegno ha
riservato al sindacalismo autonomo in ferrovia, va il grato ricordo di
tutti noi.
Lo
scenario Internazionale Quando,
tre anni or sono, ci trovammo a dover riflettere sulla pressante incidenza
degli infausti attentati dell’11 settembre 2001, era già presente il
tragico presagio del mutamento e del condizionamento della storia allora
futura. Oggi,
a poco più di un mese dal gravissimo attentato di Madrid dell’11 marzo
scorso, così vicino, geograficamente ed emozionalmente, alle nostre
coscienze, non possiamo esimerci dall’esprimere il nostro profondo senso
di disagio e preoccupazione. Questo
deve indurre, a nostro avviso, tutte le componenti del nostro tessuto
sociale a lavorare ed a sollecitare una concreta sensibilizzazione verso
temi apparentemente lontani, ma in realtà così vicini e direttamente
incidenti su un’ulteriore connotazione ed accezione della sicurezza. Sicurezza
del territorio che, mai come in questo frangente storico, trova,
purtroppo, un’evidente rispondenza nell’esigenza di sicurezza del
trasporto. In particolare di quello collettivo. Ancora
una volta, come in passato riteniamo che, ora più che mai,
l’organizzazione internazionale rappresentativa di tutti i Paesi del
globo terrestre, l’ONU, debba assumere il ruolo centrale ed effettivo
che gli compete, superando le ambizioni di primato o supremazia, le
preclusioni, i veti con il dialogo e la democrazia, finalizzando la
propria azione all’eliminazione di una delle principali cause di
insorgenza dei conflitti, che a nostro avviso risiede nelle profonde
disuguaglianze tra i popoli, nello stato di indigenza, nella povertà,
terreno fertile per il reclutamento delle manovalanze del terrorismo . Ribadiamo
dunque la necessità di opporre alla globalizzazione dei mercati la
mondializzazione dei diritti dell’uomo, che ne riconoscano ed affermino
la dignità come individuo - uomo e donna - cittadino, lavoratore, in ogni
formazione sociale, confessione e razza. In
questo quadro i rapporti con i sindacati europei assumono rilevante
importanza perché costituiscono il consolidamento degli strumenti primari
per impegnarci nel più vasto ambito ultranazionale. I
colleghi che qui rappresentano autorevoli organizzazioni sindacali
presenti in altri stati dell’Unione Europea, hanno un notevole livello
di rappresentatività nei loro rispettivi ambiti e questo è il principale
indice che testimonia il serio e lungo lavoro svolto. L’integrazione
delle loro esperienze e potenzialità organizzative con le nostre, potrà
costituire uno strumento utile ad affrontare i difficili compiti del
futuro, anche prossimo, a cominciare dalle sfide che comporterà la
liberalizzazione, con la concorrenza tra le imprese ferroviarie
internazionali.
Riflessi
e situazione nazionale Nel
quadro internazionale accennato, questo 1° Congresso
dell’OR.S.A. - ferrovie si svolge, dunque, in un momento
particolarmente difficile. Difficoltà
dalle quali non è escluso, evidentemente, il nostro Paese. È
sotto gli occhi di tutti la complessità della condizione italiana, in
particolare sul piano economico che attiene al profilo industriale. Lo
scenario è tale che, persino al più distratto degli osservatori, non può
sfuggire il segno negativo evidenziato dai parametri di riferimento che
indicano l’andamento dell’economia italiana e che trovano oggettivo
riscontro, più o meno fedele, nella vita quotidiana. Infatti,
i principali indicatori ci forniscono una lettura della situazione
macroeconomica ormai sufficientemente chiara, che necessita, con urgenza,
di importanti interventi strutturali. Il
prodotto interno lordo, negli ultimi due anni è cresciuto costantemente
al di sotto di mezzo punto percentuale
e le stime per il prossimo futuro hanno subito aggiustamenti al
ribasso. In Germania il Governo ha ufficialmente ridotto le previsioni di
crescita di mezzo punto percentuale ; il
tasso dell’inflazione già nello scorso
mese di marzo, segna un 2,3% che,
seppur stabile, è molto più alto di quello medio europeo, pari
all’1,6%. Il
dato dell’inflazione, inoltre, pur mostrando una tendenza al
consolidamento si intreccia con il contemporaneo dato della produzione, in
flessione di circa mezzo punto percentuale. Il
tutto è aggravato da un’ulteriore complessità, dovuta alle difficoltà
del sistema industriale. I
cosiddetti distretti industriali, in passato artefici e propulsori del
successo industriale del nostro Paese, sono in disfacimento o attraversano
una fase di riconversione, ma comunque non appaiono più i poli in grado
di trainare l’economia nazionale. In
proposito, a dimostrazione di questo, basti analizzare la situazione
piemontese, ormai contrassegnata dalla pesante crisi di mercato e
produttiva. Dobbiamo
ritenere altresì condivisibili i segnali lanciati dai molti studiosi che
vedono in difficoltà anche la piccola impresa, in particolare quella
collegata all’indotto. Il
sistema che raccoglie e convoglia il risparmio, da quello bancario a
quello di Borsa, a seguito delle disastrose vicende Cirio e Parmalat,
appare sempre più lontano dalla fiducia dei cittadini-lavoratori-
risparmiatori ed è lecito nutrire seri dubbi che la riforma, ancorché
predisposta dal Governo, possa costituire, almeno nell’immediato, un
sufficiente viatico per restituire la indispensabile credibilità al
sistema bancario e creditizio, principali fornitori di risorse economiche
agli operatori imprenditori. La
grande impresa continua, da parte sua, a licenziare lavoratori ed a
ridurre le proprie dimensioni. E’ agevole constatare che nel nostro
Paese, da oltre dieci anni, il sistema industriale non offre importanti
iniziative: le grandi aziende preesistenti, ove continuino ad operare sul
mercato, vanno avanti a suon di pesanti ristrutturazioni; le piccole
imprese, quand’anche non direttamente coinvolte dalla menzionata crisi
dell’indotto, sono per lo più rimesse alle incertezze ed alla
fluttuazione negativa che attraversa l’economia internazionale e
nazionale. Il
mezzogiorno del nostro Paese sembra allontanarsi sempre di più: il
problema occupazionale in quell’area è sempre più drammatico; basti
pensare che in Calabria un giovane su quattro non ha speranza di lavoro ed
ai rimanenti, bene che vada, si offrono opportunità di impiego sempre più
precarie e a basso livello di protezione. In
fondo, il nostro meridione, con l’avvento dell’Unione Economica
Europea, della moneta unica, dei grandi sistemi di trasporto, si è
trasformato da mezzogiorno d’Italia in mezzogiorno d’Europa, non
essendo state colte appieno, a tutt’oggi – complice il drammatico
quadro internazionale – le opportunità di sviluppo delle relazioni con
i mercati delle aree mediterranee. Interventi
si sarebbero potuti effettuare, già negli anni scorsi, per dotare le aree
meridionali di un sistema di trasporto capace di colmare le diseconomie
legate alla distanza dai mercati, per favorire gli investimenti e superare
gli ostacoli di natura sociale, culturale, così da rendere quelle zone
attrattive per nuove iniziative imprenditoriali, favorite dagli ampi
margini di sviluppo e mercato che esse offrivano e dalla saturazione del
sistema produttivo del nord del Paese. Ciò
non è accaduto in passato e se non sapremo, per tempo, imporre nuovi
ritmi alle scelte economiche del nostro Paese, nutriamo seri dubbi che
possa avvenire in futuro. Anche per effetto dell’ormai imminente
allargamento dell’Unione all’Europa dell’Est, che, ovviamente
proporrà nuove opportunità, più appetibili al sistema delle imprese,
nel quale la ricerca del massimo profitto è l’unico obiettivo
riconosciuto e perseguito, a discapito degli importanti risvolti sociali
e, di riflesso, a loro volta, economici. E’
dunque compito e dovere del sindacato assumere l’iniziativa: non si può
lasciare che la situazione proceda in tal modo verso l’altrimenti
declino. Il
sindacato deve rendersi capace di svolgere una costruttiva autocritica,
perché nel passato non tutto è andato per il giusto verso. E
nella medesima logica dell’analisi critica, va rilevato che esso non ha
valutato appieno le conseguenze che si sarebbero determinate: mi
riferisco, ad esempio, alle norme che hanno precarizzato il lavoro
rendendolo così flessibile ed efficace leva competitiva. Anche
i processi di liberalizzazione, persino quelli a noi più vicini, come
quello delle ferrovie, sono stati avviati e realizzati, a partire dal
Governo precedente, in maniera ancora più accentuata e velocizzata
rispetto ad ogni altro Paese d’Europa, eccezione fatta per
l’Inghilterra, ove però esistono già ripensamenti e inversioni di
tendenza. Per
dirla in poche parole, la liberalizzazione del sistema ferroviario e degli
altri beni e servizi già prodotti in regime di monopolio (energia
elettrica, telefonia, ecc..) è stata realizzata con esclusivo riguardo
alle esigenze imprenditoriali delle “eventuali” new
entries, trascurando invece la necessaria attenzione verso un sistema
di regole che tutelasse il lavoro e lo mettesse al riparo dalle tentazioni
delle imprese di competere solo sul suo costo, anziché - evenienza
auspicabile in particolar modo nei servizi di rilevanza pubblica - sulla
qualità. Il
conseguimento di quella che sinteticamente abbiamo più volte definito
“clausola sociale” è stato e rimane pertanto il fulcro su cui si
muove la politica sindacale della nostra organizzazione, a partire dalla
sua nascita, in particolare nei settori che hanno subito o sono al centro
di processi di liberalizzazione: tra questi quello del comparto trasporto
ferroviario. Ricordiamo
che il PGT, documento d’indirizzo politico, predisposto e varato
nell’ultima fase della precedente legislatura, per la prima volta, sia
pure in termini sommari e per lo più in chiave problematica, aveva
affrontato la liberalizzazione del mercato del trasporto ferroviario
prospettando in termini di necessità ed indifferibilità la dotazione del
sistema ordinamentale di clausole sociali a protezione del lavoro. Nella
specie s’individuavano due aspetti rilevanti: quello della previsione di
contratti collettivi di sistema vincolanti per le Imprese di trasporto
ferroviario ai fini del rilascio della licenza; quello della protezione
dei livelli occupazionali in caso di perdita del servizio. In
particolare, relativamente alla c.d. clausola sociale tale da conferire,
sia pure indirettamente, dignità vincolante al CCNL del settore
ferroviario, il PGT replicava in gran parte
i contenuti dell’accordo dell’8 giugno 2000 tra l’Or.S.A ed
il Ministro dei Trasporti dell’epoca, Pier Luigi Bersani. Interveniva
in tal modo a parziale emendamento di quella che noi già all’epoca
ritenevamo una grave lacuna istituzionale, che aveva già determinato il
rilascio di numerose licenze di trasporto ferroviario senza alcuna
considerazione delle ripercussioni di un siffatto processo di
liberalizzazione sui lavoratori. Quella
previsione, contenuta in un atto d’indirizzo espresso dal Governo, benché
costituisse un risultato positivo sotto il profilo politico, confermando
la validità della nostra linea sindacale, appare ancora insufficiente sul
versante delle garanzie giuridiche. Quello
che ancora oggi si avverte è la problematica mancanza delle regole che
prestabiliscano, a monte, l’applicabilità all’intero settore delle
norme contrattuali. La
Costituente del 1946 aveva disegnato in proposito un meccanismo che
riteniamo ancor oggi plausibile ed efficace. Il
dettato costituzionale, infatti, risponde all’esigenza di garantire
l’uniformità di trattamento economico e normativo tra lavoratori
operanti nel medesimo settore e contemporaneamente assolve alla funzione
di evitare che si verifichino quelli che, nella stessa Relazione della
Commissione per la verifica del Protocollo sul Costo del Lavoro del 23
luglio 1993, vengono definiti fenomeni di dumping sociale. In
tale ottica la scelta del nostro ordinamento è stata quella di regolare
la liberalizzazione dei mercati attraverso l’efficacia erga omnes e
direttamente vincolante del contratto unico per tutte le Imprese del
comparto di riferimento, anche, dunque, per quelle di trasporto
ferroviario. Tutto
questo presupporrebbe la previsione per legge dei parametri di
rappresentanza delle OO.SS., con criteri oggettivi di valutazione
sulla consistenza del dato associativo, coniugati con quello
elettorale scaturente dalle RSU e della acquisizione della personalità
giuridica da parte delle medesime mediante registrazione. Con
questo troverebbe integrale attuazione il dettato dell’art. 39 della
Costituzione, il quale, dopo circa sessanta anni di storia della
Repubblica, circa quattro anni or sono, stava per trovare attuazione nel
nostro ordinamento. Infatti,
le svariate proposte di legge sulla rappresentanza e sull’efficacia dei
contratti collettivi, avevano trovato sintesi in un articolato approvato
alla Camera dei Deputati per nove tredicesimi - i primi 9 articoli su
tredici erano stai approvati – ma hanno poi subito un definitivo
accantonamento. Ciò per l’opposizione politica interposta, determinata
dalle pressioni di Confindustria, forse perché direttamente coinvolta ed
interessata nell’analisi dell’articolo 10, che conteneva le norme
relative alle associazioni datoriali. E’
evidente che oggi, di fronte all’incipiente, in taluni casi già
concretizzato, processo di liberalizzazione, appare sempre più necessario
ed improcrastinabile uno strumento che preservi da un lato i lavoratori
dal c.d. dumping sociale, salvaguardando contemporaneamente gli equilibri
macroeconomici, già parzialmente compromessi da fattori esogeni
all’economia; dall’altro imponga al processo di liberalizzazione
l’iter che conduce alla concorrenza fondata sul miglioramento degli
standards di qualità e sicurezza del trasporto ferroviario, arginando la
competizione incentrata sulla riduzione del costo del lavoro attraverso la
riduzione delle retribuzioni e delle tutele dei lavoratori. In
tale prospettiva può soccorrere un meccanismo che condizioni il rilascio
delle licenze di trasporto ferroviario all’applicazione del contratto
collettivo del settore. In
verità il legislatore già nel recente passato avrebbe avuto la
possibilità ed opportunità di “emanare un apposito provvedimento
legislativo inteso a garantire l’efficacia erga omnes (dei CCNL) nei
settori produttivi dove essa appaia necessaria al fine di normalizzare le
condizioni concorrenziali delle aziende”. Sono
queste le testuali parole contenute nell’accordo sul costo del lavoro
del 23 luglio 1993. Tale
impegno, lo ricordiamo ancora, fu assunto dal Governo e di quell’accordo
fu tenace promotore e sostenitore l’attuale Presidente della Repubblica
C.A. Ciampi. Come
sappiamo, ancora oggi quell’ impegno è rimasto lettera morta, mentre,
anche questo va ricordato, fu invece immediato il congelamento della scala
mobile – ed oggi sappiamo sulla nostra pelle quali insostenibili
ripercussioni per i lavoratori siffatta evenienza abbia comportato ad ogni
rinnovo di CCNL, in ogni comparto contrattuale. Eppure
all’impegno sottoscritto il 23 luglio 1993 e ribadito, specificatamente
per il mondo dei Trasporti dal Ministro dell’epoca Treu, nel c.d. Patto
delle Regole del 23 dicembre 1998, il Governo avrebbe potuto dar seguito
ed adempiere in occasione dell’emanazione dei regolamenti attuativi
delle direttive europee n. 440, 18 e 19, prevedendo in quella circostanza
un meccanismo tale da rendere, sia pure indirettamente, efficaci i
contratti collettivi nei confronti delle Imprese di trasporto ferroviario. Questo
sarebbe infatti potuto avvenire già al momento dell’emanazione del DPR
277, nel luglio 1998, e del successivo DPR n. 146, nel marzo 1999,
occasioni in cui il Governo, invece, glissando sul punto relativo
all’applicazione del contratto collettivo di settore, quale condizione
per il rilascio della licenza e dimenticando gli impegni assunti, si è
limitato alla previsione di generici requisiti di “onorabilità”. Per
la verità, in precedenza, con il Decreto Legislativo 422, del 19 novembre
1997, il Governo era intervenuto in modo abbastanza chiaro sul tema
dell’efficacia dei contratti collettivi, prevedendone, all’art. 19,
“l’obbligo di applicazione per le singole tipologie del comparto dei
trasporti”, quale impegno giuridico delle Imprese sancito nel contratto
di servizio, ma tale statuizione era limitata al solo esercizio del
trasporto pubblico regionale e locale. Ecco
che allora il Governo in carica, il quale, lo ricordiamo ancora, ha
confermato il 2 ottobre 2001,
per quanto concerne il trasporto ferroviario, l’impegno, sopra
menzionato, dell’8 giugno 2000, che estende il meccanismo previsto dal
citato Decreto Legislativo 422/1997 a tutte le Imprese di trasporto
ferroviario operanti sul territorio italiano, deve ora concretizzare
quanto concordato, con un ulteriore intervento legislativo (in caso di
delega) ovvero regolamentare. Altrimenti,
le regole – o meglio la loro assenza - in tema di efficacia dei CCNL,
sono tali da consentire alle imprese di trasporto ferroviario, secondo un
indirizzo giurisprudenziale consolidato, l’applicazione di dettati
contrattuali diversi da quello che regolamenta e disciplina le Attività
ferroviarie, poiché non esiste alcun vincolo per quelle Imprese correlato
all’appartenenza ad una categoria merceologica o professionale
specifica. Tutto
questo, però, deve indurci a guardare innanzi e non al passato. In
tale quadro appare a nostro avviso assolutamente indispensabile che tutto
il sindacato - dico tutto
e mi piace sottolinearlo - inizi un grande confronto, franco e leale,
basato su una analisi che possa individuare le eventuali criticità
attuali da emendare, rifuggendo dalle tentazioni di addossare
responsabilità, ma cercando con il confronto stesso le soluzioni più
efficaci e rispondenti all’obiettivo di affermare e restituire centralità
al lavoro, inteso come occupazione stabile e a tempo pieno. Non
può e non deve affermarsi una situazione di normalità del lavoro
precario, così come non può e non deve considerarsi tollerabile il
ricorso sistematico al lavoro sottopagato. Se
non sapremo fare questo, se il sindacato non saprà apporre efficaci
argini a quella che ormai appare sempre di più una tendenza del mondo
delle Imprese, anche nella nostra Azienda, la prevalente, se non totale,
precarizzazione del lavoro sarà inevitabile. Precarizzazione
del lavoro significa in primo luogo privazione del lavoratore di ogni
certezza: della possibilità di programmare il proprio futuro, di poter
assumere impegni economici duraturi nel tempo. Molti
di noi sanno cosa significhi, in termini di sacrificio, impegnarsi
nell’importante acquisto di una casa di abitazione: la precarietà pone
il lavoratore nell’impossibilità materiale di poter assumere un impegno
così importante, ponendolo in una situazione di evidente disagio sociale. Anche
sotto il profilo previdenziale le implicazioni della precarietà sono
evidenti; tanto più nell’attuale sistema di calcolo contributivo delle
pensioni. Tutti
noi avvertiamo la pressante esigenza di uno stato sociale che garantisca
una dignitosa esistenza post lavorativa: il lavoratore precario,
ovviamente, non potendo versare in modo continuativo la contribuzione
correlata al lavoro svolto, si vede penalizzato anche su questo versante. La
situazione che oggi si palesa innanzi al giovane che si affaccia al mondo
del lavoro è quella descritta e contenuta nella disciplina legislativa
sul mercato del lavoro che si è venuta delineando in questi ultimi anni. Per
giungere poi, in una logica di continuità e consequenzialità, al più
recente Decreto Legislativo n. 276 del 10 settembre dello scorso anno. La
generale prospettiva di realizzare un consistente restringimento
dell’area di applicazione delle tutele del diritto del lavoro hanno
enucleato fattispecie che rispondono a logiche che, a nostro avviso, nulla
hanno a che fare con le aspettative dei lavoratori e con le esigenze
dell’economia. Da
“atipici” sono così divenuti “tipici”, nel senso giuridico del
termine: i contratti di lavoro coordinato e continuativo, i contratti c.d.
intermittenti, altrimenti detti “a chiamata”, i contratti di lavoro a
tempo parziale, i contratti di lavoro temporaneo, di lavoro ripartito (job
sharing). Ha
trovato poi analitica attuazione la c.d. somministrazione di lavoro, con
la previsione delle imprese somministratrici, iscritte in un’Agenzia per
il Lavoro, e di quelle utilizzatrici. Queste,
purtroppo, sono le conseguenze di un colpevole abbassamento della guardia. Ancora
risuona nei nostri ricordi il fragore delle parole di chi nel mondo della
politica “illuminata”, teorizzava, affermava, legiferava nel senso
dell’ineluttabilità della precarizzazione del lavoro. Si
è andati persino oltre quelle che erano state le prime intenzioni col
famigerato pacchetto “Treu” prima e con la legge delega n. 30 poi, che
hanno, come detto, determinato l’attuale quadro normativo. Ora,
penso che sia venuto il
momento per il sindacato dei lavoratori di ritenere ed affermare che le
norme sul mercato del lavoro abbisognino di una ridefinizione nel senso
sopra auspicato.
Il
CCNL delle Attività ferroviarie Assumendo
a premessa la necessità di un consolidamento, rafforzamento,
perfezionamento dell’azione sindacale a mezzo della contrattazione
collettiva, veniamo al dolente tema del CCNL delle attività ferroviarie. “Dolente”
perché, come tutti i presenti sanno, l’OR.S.A. - ferrovie ha ritenuto
che l’assetto contrattuale, scaturito dalla trattativa e configurato col
CCNL delle attività ferroviarie e col contratto aziendale F.S., non
costituisse un giusto ed opportuno punto di equilibrio degli interessi
delle parti. Il
complessivo assetto contrattuale, comprensivo del Contratto di Confluenza,
inizia con l’Accordo del 23.11.99, che considerammo subito sbagliato e
che avversammo non solo per problemi di metodo, ma anche perché lo
giudicavamo sbilanciato in favore delle parti datoriali. Quell’accordo,
infatti, concedeva, tra le altre cose, un’ulteriore moratoria salariale,
a fronte di impegni delle parti datoriali ancora vaghi, poi confermatisi
inconsistenti. Ci
riferiamo al campo di applicazione del CCNL, che avrebbe dovuto trovare
una più puntuale rispondenza nell’assetto contrattuale e avrebbe dovuto
essere accompagnato dalla c.d. clausola sociale. Per
non tacere poi del prevedibile disimpegno del Governo sul piano degli
investimenti e su quello dell’adeguamento delle tariffe. Va
pure detto che la moratoria salariale non si è poi pienamente realizzata:
ci piace pensare che questo sia avvenuto, anche a causa dell’azione
sindacale interposta dai ferrovieri e
dall’ OR.S.A. . Infatti
nel CCNL delle Attività Ferroviarie sono stati previsti, ancorché in
misura insufficiente, aumenti tabellari, che, aggiunti alle risorse
destinate alla rivalutazione dell’anno corrente e all’introduzione del
salario professionale, hanno sicuramente creato nuove condizioni rispetto
all’Accordo del 23.11.99. Per
quanto attiene ai diritti ed alle garanzie, abbiamo ritenuto che la
formulazione dell’art. 11 del CCNL delle Attività Ferroviarie,
prefigurando la possibilità di fuga dal medesimo, costituisse un vero e
proprio incentivo alle esternalizzazioni. Anche
sull’ art. 40 abbiamo mosso ed espresso le nostre perplessità, perché
serbavamo la convinzione che l’Azienda, malgrado le rassicurazioni di
Confindustria, avrebbe potuto utilizzarlo come strumento di pressione e di
gestione degli esuberi . In
entrambi i casi, le nostre intuizioni si sono, purtroppo, puntualmente
verificate: basti pensare ai tentativi di esternalizzare le attività di
manovra dello stabilimento dell’interporto di Bologna, ove l’Azienda
con una semplice comunicazione, ha annunciato, applicando i citati art. 11
e 40, il trasferimento delle attività di manovra a Serfer e il
trasferimento dei lavoratori che prima svolgevano quel lavoro. Non
possiamo poi non ricordare l’art. 48, che annulla la caratteristica di
stabilità del rapporto di lavoro dei ferrovieri, poiché elimina la
precedente previsione che ricollegava ad ipotesi tassativamente elencate
la risoluzione del rapporto di lavoro. Con le conseguenze che tale
annullamento comporta in termini di applicabilità della normativa sui
licenziamenti collettivi e mobilità ai ferrovieri. Né
può tacersi dell’istituto del comporto, relativamente al quale ora
debbono trovarsi spazi di estensione, ai fini del prolungamento dei
termini, individuando una soluzione che ne estenda l’applicazione ai
lavoratori affetti da patologie gravi. Questa esigenza conserva la sua
attualità anche a seguito delle modifiche o dei chiarimenti intervenuti
dopo il 16 aprile 2003, sotto la spinta della pressione esercitata dall’OR.S.A. . Altre,
forse tra le maggiori, iniquità: quella relativa all’orario dei quadri,
in particolare degli uffici, ai quali vengono di fatto imposte prestazioni
lavorative straordinarie gratuite senza alcuna ragionevole limitazione
delle stesse, né giornaliera, né settimanale, né annuale; quella concernente l’inquadramento del personale navigante,
ove, nel quadro di equiparazione, alcune figure professionali sono state
fortemente penalizzate. Di
non minore rilevanza si sono subito rivelate le criticità relative alla
normativa sull’orario di lavoro del personale di bordo e di macchina,
che, benché abbiano notevolmente appesantito le prestazioni richieste ai
lavoratori, non prevedendo specifiche e distinte normative per le singole
Divisioni, hanno prodotto una significativa crisi della circolazione,
soprattutto riguardo alla Divisione Cargo e a quella del trasporto
regionale, dimostrando che quelle normative erano viziate ed errate anche
sul piano industriale. Auspichiamo
che molte di queste criticità possano
trovare immediata soluzione e che in occasione della contrattazione del
biennio economico, di prossima scadenza, l’azione di tutte le forze
sindacali possa essere diretta ad un recupero del potere d’acquisto dei
salari che non potrà certo essere contenuto nei limiti di
un’insufficiente inflazione programmata.
Il
Gruppo FS L’approvazione
del D.lgs.188/2003 (recepimento delle Direttive europee 12, 13 e 14/2001)
ha completato il processo iniziato con la separazione tra rete e trasporto
e con il passaggio dal sistema delle concessioni al sistema delle licenze. Il
decreto, riconfermando l’atteggiamento spregiudicato del nostro Paese
nel processo di liberalizzazione del trasporto ferroviario, ha recepito,
andando oltre le direttive europee, anche la figura facoltativa del
“richiedente autorizzato”, che consente a soggetti diversi dalle
imprese ferroviarie, anche istituzionali (regioni, province, ecc.), di
acquistare tracce treno e separatamente la trazione. Il
dibattito interno alla compagine governativa precedente all’ emanazione
del D.Lgs. 188/2003, vide da un lato il Ministro delle Infrastrutture e
dei Trasporti, Lunardi, perorare l’ipotesi dello scorporo di RFI dalla
F.S. Holding e la sua liquidazione entro il 2005, dall’altro la
maggioranza del Consiglio dei Ministri emanare un decreto legislativo di
tenore apparentemente diverso. Addirittura
la successiva emanazione veniva accompagnata da pareri opposti dei due
rami del Parlamento, che spingevano verso un diverso assetto del Gruppo
FS. Da
un lato il Senato ipotizzava lo scorporo di RFI e la scomparsa della
Holding FS; dall’altro la Camera dei Deputati si esprimeva per
l’unicità dell’Impresa FS e per il mantenimento della Holding FS. In
entrambi i casi le deliberazioni venivano assunte concordemente, nelle
rispettive Sedi, da maggioranza ed opposizione. In
sintesi, a tutt’oggi, nessun quadro univoco e chiaro è stato descritto
dalla classe politica nel nostro Paese in ordine agli assetti della
maggiore impresa di trasporto ferroviario. Intendiamo
qui ribadire con chiarezza e fermezza la nostra assoluta contrarietà ad
ipotesi di modifica degli assetti societari che vadano ad intaccare
l’unitarietà del Gruppo FS. Una
scelta diversa sarebbe profondamente sbagliata perché, spezzandone
l’unitarietà, priverebbe il Paese del governo strategico dello sviluppo
del trasporto ferroviario e accentuerebbe le difficoltà di fronte al
processo di liberalizzazione, elidendo, tra l’altro, le possibilità di
compensare, anche e soprattutto sul versante del lavoro, le specifiche,
possibili, criticità. Anche
mentre le tendenze andavano in direzione opposta, abbiamo sostenuto - ed
oggi ribadiamo - la necessità di rivedere il ruolo della Holding di FS,
in una logica di maggiore autonomia e responsabilità gestionale di RFI e
Trenitalia, ma questo in un quadro di unitarietà dell’Impresa e di
sostenibilità del modello in un contesto regolamentato sul versante del
lavoro. Il
Paese non può rinunciare ad una grande impresa ferroviaria integrata,
quale strumento per il controllo strategico del sistema che deve
continuare a rispondere alle esigenze di socialità e di sicurezza, che
caratterizzano il trasporto ferroviario. Riteniamo,
pertanto, prioritaria la conferma dell’unitarietà del Gruppo FS con una
Holding riconfigurata con compiti prevalentemente finanziari e con
funzioni di indirizzo e controllo su materie di ordine generale, mai
direttamente invasive sulla gestione industriale delle società
controllate. In
altre occasioni per designare questa nuova Holding abbiamo utilizzato la
terminologia di Holding leggera, includendo tra gli altri suoi compiti la
definizione di strategie di incentivazione, di sviluppo del trasporto
ferroviario, e la concreta attuazione degli impegni assunti in ordine alla
tutela del lavoro con un unico CCNL vincolante per tutte le imprese
ferroviarie. Abbiamo
considerato prima e riteniamo ancora che le suddette costituiscano le
precondizioni, gli elementi quadro necessari per costruire una struttura
che possa incidere significativamente e positivamente sul rilancio del
trasporto ferroviario, in particolare merci. Inoltre,
per depotenziare i possibili attacchi all’unicità del Gruppo FS, sarà
necessario estrapolare da RFI le funzioni sensibili, che possono dare
adito alla regolazione del mercato, ovvero l’attività di certificazione
delle imprese e la regolazione delle tracce, per collocarle nelle
competenze di un organismo indipendente, anche istituendo un’Authority
ad hoc. Occorre
poi una maggiore e puntuale definizione dei servizi al trasporto
ferroviario previsti all’art. 20 del citato D.Lgs.: in particolare
ribadiamo quanto abbiamo avuto modo di sottolineare già in sede di
confronto con il Ministro dei trasporti all’epoca delle c.d.
divisionalizzazioni, e cioè che i servizi di manovra e di verifica, per
gli ovvi motivi di funzionalità e sicurezza implicati, debbano essere
forniti e gestiti direttamente da RFI.
Piano d’Impresa F.S. 2004/2007
E’
questo un atto che intenzionalmente l’azienda ha costruito prescindendo
dal confronto col sindacato, da noi appreso per il tramite di fonti
esterne alla Società FS: prevalentemente dai mezzi di informazione. Nell’attesa
di un auspicabile confronto, possiamo tuttavia già individuare quelle che
secondo noi sono le principali criticità: -Riduzione di circa 10.000 posti di lavoro (da
102.100 a 92.400) Ci
risiamo, non si capisce che cosa significa e soprattutto perché e dove la
Società ancora intenderà tagliare il personale. In
assenza di una chiara strategia del sistema del trasporto ferroviario
consideriamo assolutamente inaccettabile questa intenzione palesata. Si
apra un confronto serio, vogliamo capire quali scelte imprenditoriali
siano alla base di questa ulteriore, ennesima azione di ristrutturazione. -La
cessione del 5% annuo del trasporto regionale alla concorrenza Non
riusciamo a comprenderne la valenza strategica, né l’opportunità di
prevedere la cessione di una quota di mercato tanto considerevole alla
concorrenza, alcune domande sorgono spontanee: quali
servizi saranno sacrificati? Perché? A vantaggio di chi? E soprattutto
quali lavoratori, almeno nelle intenzioni aziendali, saranno coinvolti? -Un
arretramento medio annuo pari al 10% del traffico merci diffuso L’effetto
dell’arretramento del 10% del traffico diffuso, che nei primi anni del
Piano raggiunge la quota del 30% circa, avrà delle ripercussioni
pesantissime sull’economia del Paese, poiché questa tipologia di
traffico viene pressoché esclusivamente utilizzata dalle piccole e medie
imprese che ancora rappresentano – sia pure con mille difficoltà –
l’asse portante del sistema produttivo ed economico. Costringere queste
Aziende a rivolgersi al vettore gommato produrrà un inevitabile aumento
dei prezzi e un aggravamento della situazione ambientale. Per
non tacere poi, il fatto che molti operatori potrebbero trovare
convenienza a dislocare la loro attività industriale nei Paesi
frontalieri, in ciò favoriti anche dalle condizioni di miglior favore del
costo del trasporto merci diffuso, che, in alcuni di quei paesi, è
incentivato e sostenuto. -Creazione
della Società Cargo Questa
operazione non ci convince e non certo per la nostra antica e ormai
proverbiale diffidenza nell’approcciare ai processi di societarizzazione,
che anche in questo caso vogliamo confermare, ma perché, così come è
stata presentata dalla stampa più accreditata, sembra essere finalizzata
alla sola “pulizia” del conto economico di Trenitalia, per affrancarla
dall’appesantimento della Divisione Cargo, che nel 2003 ha accusato una
perdita superiore a 250 milioni di euro. I maliziosi - e tra questi noi -
pensano che la ragione vera sia quella di creare le condizioni favorevoli
per Trenitalia, con le superstiti Divisioni Passeggeri e Trasporto
Regionale, di privatizzarsi, e perché no, consentire ai segmenti più
pregiati di accedere in borsa nel medio periodo. Queste
motivazioni per il sindacato, per i lavoratori, per il Paese, credo non
siano sufficienti ed anzi debbano decisamente rigettarsi: non è possibile
accettare questa scelta che, penalizzando il trasporto ferroviario merci
in ambito nazionale ed internazionale, non tiene in alcuna considerazione
le implicazioni negative in termini occupazionali e di prospettiva.
Ricordiamo che sono circa 14.200 i lavoratori impiegati nella Divisione
Cargo. Piuttosto,
non si comprende perché il personale di manovra non abbia trovato
adeguata collocazione in RFI ancora a distanza di circa un anno
dall’emanazione del Dlgs. 188/2003. Anche questa negligente
“omissione” va considerata tra le cause di difficoltà economica della
Divisione Cargo e ci sembra, anche in questa sede, ormai inopportuno
sottolineare che “l’avevamo detto”.
Il
Trasporto Pubblico Locale ferroviario Anche
nel Trasporto Regionale il processo di liberalizzazione procede in modo
confuso e sregolato; i tempi e le modalità sono profondamente diversi da
regione a regione. Le
enormi differenze tra le legislazioni regionali in materia di TPL e la
lacunosità delle norme nazionali non depongono a favore di prospettive
serene per il futuro di questo settore. Alcune
regioni prospettano addirittura una sorta di sequestro del materiale
rotabile di Trenitalia e le diverse valutazioni tra garante per la
concorrenza, TAR e Consiglio di Stato non hanno risolto definitivamente la
questione. In
proposito vogliamo dire che saremmo assolutamente contrari ad aziende
ferroviarie “leggere”, senza la proprietà del materiale rotabile, e
quindi ridotte a semplici fornitrici di manodopera. Veneto,
Liguria e Lombardia hanno già avviato le procedure per le gare e già ci
troviamo di fronte a tutte le possibili tipologie di gara: lotto unico per
la Liguria, due lotti di bacino per il Veneto, tre lotti distinti per
linee in Lombardia. Mentre pare che il nuovo assessorato dei trasporti
della regione Lazio voglia rimettere in discussione la scelta del lotto
unico già sancita in un accordo con le parti sociali. Come
OR.S.A. riteniamo che la scelta del lotto unico regionale sia l’unica
percorribile per una efficace e funzionale gestione coordinata del
trasporto ferroviario regionale. In
ogni caso già le prime gare ci hanno dimostrato che il pericolo di un
prepotente ingresso di imprese non italiane in questo settore è serio ed
incombente e che, tra l’altro, slealmente proviene proprio dalle imprese
di quei Paesi che mantengono forti protezioni sui loro mercati interni. Per
quanto riguarda invece la regolazione del mercato del lavoro, anche
tralasciando l’ipotesi di applicazione di CCNL non specifici, ci
troviamo di fronte ad un contratto, quello degli autoferrotranvieri, che
non ha mai sufficientemente regolato la specificità ferroviaria, che si
è evoluto quasi esclusivamente a livello aziendale, mentre il livello
nazionale, ad esempio in materia di orario di lavoro, è ancora fermo ai
regi decreti di quasi un secolo fa, un contratto che ha operato pesanti
riduzioni sui salari dei neo assunti. Questa è stata una delle più forti
motivazioni alla base della protesta posta in essere alcuni mesi fa dagli
autoferrotranvieri. Nonostante
ciò, le legislazioni regionali in materia di subentro di impresa e di
trasferimento del personale sono quanto mai variegate e lacunose, potrete
rendervene direttamente conto leggendo l’estratto in materia dalle
diverse leggi regionali che vi abbiamo allegato nella documentazione. Per
questo, e non solo per questo segmento, l’OR.S.A. sollecita il Governo
ad un tempestivo intervento in materia: per evitare che il settore cada in
una situazione di ingovernabilità per tutte le parti sociali. E’
infatti da reputare ormai indilazionabile un intervento legislativo che
istituisca clausole sociali in favore dei lavoratori delle imprese che
abbiano perso le gare d’appalto, sia in ordine alla riassunzione nelle
imprese vincitrici, sia in relazione
al mantenimento dei livelli retributivi in godimento. Trasporto
ferroviario Cargo: la Divisione Cargo La
crisi del settore cargo ferroviario viene da lontano. La
divisionalizzazione ne ha soltanto esasperato i problemi, facendo venire
meno le economie di scala, anche nell’utilizzo del personale,
sovraccaricando di costi fissi le divisioni, in particolare cargo, che con
le fluttuazioni dei volumi di produzione (anche giornalieri) incontra le
maggiori difficoltà a razionalizzare questi elementi. Ci
riferiamo anche al tema della manovra e della verifica. La
nostra posizione in materia è a tutti da tempo nota. E
a proposito del passaggio del settore manovra ad RFI, divenuto
obbligatorio dopo l’emanazione del D.L. 188/2003 continuiamo a sentire
molte cifre (5.000-3.000-1.500) nessuna delle quali però legata ad una
seria motivazione dell’organizzazione
lavoro e dell’impresa: una soluzione pasticciata e meramente
bilancistica non aiuterebbe né il lavoro né l’impresa . In
questo scenario il CCNL, come detto, non ha previsto risposte mirate e
specifiche alle criticità organizzative, concentrandosi solo su una
“spremitura“ generalizzata del personale, in termini di maggiorazione
dell’orario di lavoro ed ha precipitato Trenitalia, in particolare la
Divisione Cargo, in una situazione di estrema difficoltà. La
sola risposta del management FS a siffatta situazione di difficoltà
sembra essere costituita dall’ipotesi di societarizzazione della
Divisione Cargo. Una risposta sbagliata: l’assenza di vere risposte
strategiche, al contrario, ne accrescerebbe la crisi, gravando di
ulteriore incertezza e sfiducia i lavoratori. Le
difficoltà del trasporto ferroviario merci (che sono europee e per molti
versi collegate ai bassi livelli di crescita economica) sono invece un
problema da affrontare con estrema determinazione, coinvolgendo anche il
Governo, che non può continuare a parlare dell’assoluta necessità di
riequilibrio modale senza poi concretizzare le
enunciazioni in una positiva politica del trasporto ferroviario. L'opinione
secondo cui il trasporto ferroviario avrebbe ripreso competitività con la
sua completa liberalizzazione, lasciando mano libera al mercato, è stata
abbandonata persino dalle ferrovie inglesi che, pur privatizzate, hanno già
da tempo riavviato una politica basata su investimenti pubblici
all’infrastruttura e incentivi economici al trasporto ferroviario. È
invece ormai largamente diffusa l'opinione che il riequilibrio modale
debba entrare concretamente fra gli obiettivi politici della Comunità
Europea e quindi dei paesi membri. Questi
devono adottare politiche attive a sostegno del trasporto ferroviario
volte a compensare lo sbilanciamento esistente a favore del trasporto su
gomma. I pedaggi autostradali e le tasse non coprono (come dimostrato da
autorevoli studi) che il 62% dei costi esterni generati dal trasporto
stradale. Quindi è ineludibile un’assunzione di responsabilità del
Governo che deve intervenire utilizzando lo strumento dei prezzi delle
tracce e degli incentivi fiscali alle imprese che utilizzano il vettore
ferroviario. Soddisfatta
questa precondizione (unitamente a quella del mantenimento dell’ unicità
del gruppo F.S. e alla emanazione della c.d. clausola sociale), il
sindacato è pronto a fare la sua parte. E’
infatti chiaro che migliorare le condizioni della Cargo è e sarà un
problema di tutti noi. Né possono giovare a tal fine
le fantasiose cifre, in particolare sui risultati della concorrenza
che, per molti casi, si trova invece in una condizione di difficoltà
anche superiore a quella di Trenitalia. Si vorrebbe in tal modo far
intendere che sarebbe sufficiente incrementare le ore di lavoro della
manovra e la condotta per risanare la Cargo. Vogliamo però aggiungere che se l’aumento delle ore di condotta sarà il risultato di una maggiore produzione, di una diversa organizzazione/gestione del lavoro, di una razionalizzazione nella dislocazione della produzione, l’OR.S.A. sarà pronta ad assumersi le responsabilità che gli competeranno. Se diversamente qualcuno pensa ad una ulteriore spremitura sui regimi di orario ed in particolare di quello notturno, sappia che non potrà fare accordi con noi.
Conclusioni Oggi
ci troviamo a celebrare questo Congresso dopo aver superato tutta la prima
fase, rispondendo con le più opportune soluzioni ai problemi
organizzativi e soprattutto, avendo costruito e stimolato le basi di una
comune motivazione e realizzato una forte integrazione tra tutte le
organizzazioni sindacali che hanno dato vita all’OR.S.A. – Ferrovie. L’unificazione
di COMU, FISAFS, SAPEC e SAPENT, ha rappresentato per noi una grande
scommessa e con questo Congresso ci apprestiamo ad effettuare un ulteriore
salto in avanti con i ferrovieri delle concesse e del Trasporto Pubblico
Locale. Ora il percorso è completo. Abbiamo
dato la prima vera risposta organizzativa, attraverso la creazione di un
soggetto sindacale unico, che ci legittima, con la coerenza che ci è
propria, a richiedere il Contratto delle Attività Ferroviarie, unico ed
obbligatorio per tutta la modalità. A chi non ha creduto in questo
progetto diciamo che le porte sono aperte, ma verso un cammino che conduce
ad un’organizzazione unica, ad un soggetto sindacale che sappia e possa
essere strumento per rappresentare i lavoratori con pervicace impegno e
grande motivazione. Alla
nuova, eventuale, compagine aziendale o, se dovesse essere confermata,
all’attuale, chiediamo di aprire un immediato confronto sul piano
d’impresa 2004/2007, che secondo l’OR.S.A. dovrà essere riscritto in
una logica di sviluppo. Rivendichiamo ancora che il CCNL delle Attività
Ferroviarie si applichi in tutte le Aziende del Gruppo FS. Alle
istituzioni chiediamo: ·
Certezze negli
investimenti; ·
Ridefinizione
di regole che sovrintendano alla liberalizzazione ed impediscano la
colonizzazione del mercato ferroviario italiano; ·
Clausola
sociale che renda vincolante l’applicazione del CCNL al sistema
ferroviario liberalizzato; ·
Clausola
sociale che in caso di perdita delle gare, salvaguardino i dipendenti
delle aziende soccombenti sul piano della continuità del lavoro e dei
livelli retributivi; ·
Garanzie
sull’unitarietà del Gruppo FS e mantenimento della c.d. Azienda FS
integrata; ·
Certezza
sull’assetto dei vertici del gruppo FS, superando l’attuale condizione
di precarietà. Ai
sindacati qui presenti, offriamo un terreno di discussione, per giungere,
tutti assieme, alla condivisione di una piattaforma che conferisca
rinnovato vigore all’azione sindacale e alla sua proposta. I lavoratori attendono e i problemi ormai sono di una gravità tale da richiedere tutti, a partire dall’OR.S.A. , il necessario senso di responsabilità per colmare le differenze e dare alla categoria una prospettiva di lotta, di successo, di certezze.
Il Segretario Generale (Armando Romeo) |