LA RIFORMA PREVIDENZIALE: DI MALE IN PEGGIO

 

Il Governo si accinge ad apportare ulteriori modifiche ai regimi pensionistici dopo quelli che si sono susseguiti dal 1992 ad oggi.

Nello stesso tempo assistiamo all’ennesima levate di scudi di CGIL-UIL-CISL, ecc.., pur con i soliti distinguo, a difendere gli interessi dei lavoratori e dei pensionati.

E’ fin troppo evidente che la “manovra” del Governo è solo l’ultima spallata ad un processo che è iniziato più di 10 anni fa.

Se nel 1992 la prima riforma Amato apportò alcune modifiche (calcolo pro quota sugli ultimi anni di retribuzione anziché l’ultimo), il 1995 ha segnato un netto confine tra coloro che avevano più di 18 anni di anzianità contributiva e gli altri.

Ai primi venne applicato il vecchio sistema di calcolo, mentre gli altri furono sacrificati sull’altare dell’economia attribuendogli un sistema di calcolo della pensione – contributivo o misto, fondato su un improponibile, quanto unico nel panorama europeo, sistema di calcolo ancorato al PIL – che di fatto azzera la pensione di anzianità e decurta gli assegni pensionistici dal 10 fino al 50%.

Oggi la nuova riforma interessa i lavoratori che al 31 dicembre 1995 avevano maturato più  di 18 anni di contributi e che andranno in pensione dal 2008 in poi. Per questi ultimi l’ennesima proposta di riforma rappresenta un obiettivo peggioramento, poiché accelera il percorso, già definito con scadenze3 più rallentate, l’abolizione delle pensioni d’anzianità.

Chi ha la pensione calcolata con il sistema contributivo –anche solo in parte- rimarrà costretto a proseguire la sua attività lavorativa fino a 65 anni per poter godere di una pensione che  consenta di sopravvivere.

Con il sistema misto o totalmente contributivo il massimo dell’assegno è infatti ottenibile solo a 65 anni con il massimo dei contributi versati e il massimo della percentuale applicabile ai contributi.

Rimane invece irrisolto, dal 1995 ad oggi, il tema dei lavori usuranti che avrebbe consentito, attraverso una maggiorazione dei contributi, un’ anticipazione del pensionamento anche con il sistema contributivo senza perdere nulla.

A questo punto è evidente che la prima istanza rivendicativa da mettere in atto riguarda il riconoscimento dei lavori usuranti in ferrovia, in modo da consentire ai lavoratori esposti, a cominciare da quelli che già con il vecchio sistema pensionistico godevano di “scivolamenti” e di anticipazione dell’età pensionabile, di ottenere l’anticipazione della pensione.

Tardive e poco credibili (perché legate più a motivazioni di “bottega”)  appaiono invece le iniziative di chi (CGIL, CISL e UIL) nel 1995 lasciò spregiudicatamente passare una riforma sbagliata, ingiusta e fortemente penalizzante.

L’OrSA, in virtù della sua autonomia e della coerente linea assunta in occasione delle precedenti riforme peggiorative per i lavoratori, che oggi danno spazio e possibilità a nuovi interventi,  esprime un giudizio negativo sull’iniziativa di questo Governo senza dimenticare e tacere ai lavoratori ciò che è già stato fatto a loro danno dai precedenti.

Pertanto, in riferimento allo sciopero generale del 24 p.v. indetto da Cgil, Cisl, Uil,  l’OR.S.A. -ferrovie ritiene che i propri iscritti possano liberamente optare valutando da un lato l’importanza del tema pensionistico e la complessità della vertenza ferroviaria in corso, dall’altro considerandone la valenza prevalentemente strumentale.

 

Roma, 22 ottobre 2003 

                                                                                  La Segreteria Generale