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XIII
CONGRESSO FISAFS
- OR.S.A. 7 – 8 – 9 NOVEMBRE 2001
Introduzione
pagina 1 1
- Gli scenari
pagina 3 -
Situazione Internazionale
pagina 3 -
Riflessi nazionali
pagina 4 -
Federalismo e Mezzogiorno
pagina 6 -
Ambiente e trasporto
pagina 8 -
Il lavoro ed il Welfare
pagina 9 2
- L’OR.S.A.
pagina 14 3
- La Clausola Sociale e il PGT
pagina 18 4
- La Società F.S.
pagina 24 -
Quale modello per le F.S.? pagina 29 5
- La FISAFS e l’OR.S.A. Ferrovie
pagina 31 6
- Problematiche contrattuali
pagina 34 7
- Diritto di sciopero
pagina 37 Conclusioni pagina 40 ---------------------------------------------------------------------------- Introduzione
Questo Congresso,
il XIII della FISAFS, si apre in un momento di particolare apprensione per
i gravi fatti recentemente accaduti, i cui effetti sono ancora in primo
piano nell’attenzione e nei pensieri della collettività mondiale. Rivolgo un
caloroso saluto ai graditi ospiti, ai delegati congressisti ed ai
componenti del Consiglio generale uscente. Un pensiero va in
questa sede ai lavoratori ed alle RSU che numerosamente hanno partecipato
ed arricchito, con il loro contributo, il dibattito precongressuale. Il Congresso
affronterà importanti
tematiche per i lavoratori e
per il sindacato dei Trasporti, nel cui ambito ci onoriamo di essere stati
testimoni ed artefici della costruzione del nuovo soggetto sindacale. Colgo in
proposito la gradita occasione per esprimere un sentito ringraziamento ai
colleghi dell’ANPAC, dell’ANPAV, ANPCAT, ATV, CILA-AV, CNL-Trasporti,
COMU, SAPEC, SAPENT, SNAPAC, che hanno, con noi, dato vita a questa nuova
entità, sintesi fra le esperienze del sindacalismo autonomo e libero e
quello dei sindacati di base, ed a cui si sono poi aggiunti i colleghi
dell’OR.S.A. Servizi, dell’OR.S.A. Sanità, dell’ANPAN. In particolare,
in questo Congresso, ci apprestiamo a formalizzare i passi decisivi per la
creazione dell’OR.S.A. settore ferroviario, quale primo comparto
unificato dell’OR.S.A. e mi sia consentito rivolgere un particolare
ringraziamento ai colleghi di Comu, Sapec e Sapent che, insieme a noi,
hanno condiviso l’obiettivo di proporre ai lavoratori delle ferrovie uno
strumento di azione e di tutela sindacale impegnato a rappresentarne le
istanze, prescindendo da qualunque schieramento politico. La nostra scelta
di essere sindacato autonomo, oggi più che mai, infatti, si conferma la
più valida. Tanto più in un
contesto caratterizzato dagli effetti del sistema elettorale
maggioritario, che favorisce l’alternanza delle coalizioni governative,
la difesa dei lavoratori può essere efficacemente e coerentemente
realizzata soltanto da un sindacato che, per vocazione, rifugga dal
collegamento organico con gli schieramenti politici, siano essi di Governo
che di opposizione. Questo Valore
rappresenta la nostra tradizione, il nostro modo di essere e lo
consideriamo imprescindibile per consentire all’esperienza sindacale di
esprimersi con la massima libertà, avendo sempre chiari gli obiettivi da
perseguire. (Torna
all'indice) Situazione Internazionale
Lo scenario internazionale che si
è venuto a determinare a seguito degli infausti attentati di New York e
Washington, dell’11 settembre 2001, ha mutato radicalmente la sua
fisionomia. In particolare sono già cambiati alcuni grandi equilibri
mondiali e persino le relazioni sociali all’interno di
tutti gli Stati del globo terrestre
sono fortemente condizionate e non soltanto per effetto
dell’evento bellico in corso.
La politica di alleanze, consolidatesi dalla seconda guerra mondiale ad oggi, appare in evoluzione e probabilmente anche gli schieramenti che hanno influenzato la politica economica e gli assetti militari di difesa sono destinati a cedere il passo a nuove situazioni internazionali. In questo contesto crediamo debba trovare un ruolo rafforzato l’unica organizzazione internazionale che abbraccia tutti i Paesi e che quindi all’O.N.U. debbano essere affidati nuovi obiettivi finalizzati a colmare le profonde disuguaglianze tra i popoli. Così proprio mentre appare necessario che alla globalizzazione dei mercati si opponga una mondializzazione dei diritti dell’uomo e delle regole per il lavoro, emerge in tutta la sua drammaticità la fragilità del sistema americano, in particolare sul fronte economico e delle sue implicazioni sulla vita umana. Per quest’ultimo aspetto sono subito emerse le gravi contraddizioni di un sistema economico fortemente privatizzato, soprattutto nella inconciliabilità tra sicurezza e salute pubblica da un lato e le esigenze del rendimento e del profitto dall’altro. Ne è esempio eclatante la riduzione di personale assegnato ai controlli di sicurezza, che ha reso estremamente vulnerabile quel sistema, orientato esclusivamente a conseguire alti profitti attraverso la politica dei risparmi estremi. Così nella stessa logica, un primo effetto drastico si è riversato sugli addetti delle compagnie aeree, che, nonostante gli ingenti aiuti a queste forniti, sia pure, potremmo dire, troppo tardi, dallo Stato, hanno dato seguito a ben 100.000 licenziamenti. Altro effetto immediato, ancor più grave, è stato l’inizio di un evento bellico, il quale, seppur comprensibile in un’ottica di lotta al terrorismo internazionale sempre più aggressivo e spietato, sta imprimendo, a popolazioni povere ed inermi, perdite e sofferenze che provano la nostra coscienza. Inoltre le proporzioni e gli effetti del
conflitto bellico in corso, in termini di previsione, sfuggono alle nostre
considerazioni per la loro gravità, ma l’esito, dal punto di vista
economico, non può che ricondurre ad una fase di recessione con effetti
su tutto il Globo terrestre. Riflessi nazionali In tale ambito, pieno è il coinvolgimento dell’Italia, su cui i riflessi recessivi sono facilmente intuibili ed ipotizzabili, mentre appaiono poco rassicuranti, perché legati ad una realtà virtuale, i messaggi di chi ritiene lo scenario nazionale svincolato da quello internazionale. Anche in Italia, sulla scia del tragico insegnamento americano, occorre una più forte ed intensa presenza dello Stato nei servizi pubblici ed il sindacato deve essere il promotore di questa inversione di tendenza. Il sindacato deve chiedere che i percorsi di liberalizzazione e privatizzazione vengano ridefiniti nei tempi, nei modi, nell’entità. Tale revisione appare ancora più afferente al sindacato ove si consideri che tali processi, in Italia, hanno già dato origine a squilibri che hanno alterato la distribuzione delle risorse prodotte ed hanno originato ingiustizie sociali. Così, negli ultimi dieci anni, il costo del lavoro in Italia è diminuito di circa tre quarti rispetto alla crescita avvenuta negli altri Paesi europei. Appare dunque chiaro che, nel nostro Paese, le aziende hanno beneficiato di crescenti, ingiustificati, profitti. Anche dal punto di vista dell’efficienza, in particolare per quanto attiene al trasporto ferroviario, l’inversione di tendenza deve essere dal sindacato riaffermata con vigore, soprattutto per aver avuto ragione nell’indicare come esempio da non seguire quello Inglese. Ora tutti sappiamo dell’ingloriosa fine della Railtrack, fino a qualche anno fa punto di riferimento, nonostante la tenace avversità del sindacato, per molte Imprese ferroviarie europee, fra cui anche F.S., che, nella persona del Presidente pro tempore del Consiglio di Amministrazione, prof. Demattè, più volte aveva additato il modello inglese come esempio da imitare. Ricordiamo che la società di gestione delle ferrovie inglesi, in meno di cinque anni dall’avvenuta privatizzazione, oltre a porre nel caos il sistema di trasporto ferroviario, a determinare il crollo dei livelli di sicurezza, ha raggiunto un debito di tre miliardi di sterline (pari a 10 mila miliardi di lire). Oggi è dunque assoggettata a procedura fallimentare. Federalismo e
Mezzogiorno
Fino a poco meno di un mese fa, rispetto alla erogazione del servizio di trasporto, la rilevanza regionale del Trasporto locale rappresentava già una questione centrale, che poneva alla nostra attenzione problematiche che avrebbero trovato concreta attuazione con le procedure ad evidenza pubblica di scelta dei vettori e delle Imprese con cui stipulare i contratti di servizio. Le Regioni, in
tale prospettiva, dovevano pianificare le risorse e sceglierne
l’allocazione attraverso propri Piani, stabilendo le priorità tra
servizi e valutandone i livelli di fornitura. In questo
contesto, sul sindacato incombevano già responsabilità, difficoltà e
impegni nuovi, determinati, in prima fase, dal confronto con le Regioni
per la definizione dei Piani, e poi, nell’ambito delle Imprese, per la
ricerca di soluzioni di equilibrio tali da rendere le aziende competitive
ai fini dell’aggiudicazione dei servizi, con l’ulteriore criticità
dovuta alla tendenza a scaricarne l’onere sulla riduzione del costo del
lavoro. Questa situazione
viene oggi resa ancora più complessa dall’esito del referendum
costituzionale tenutosi lo scorso 14 ottobre, nell’ambito dell’iter di
revisione previsto dall’articolo 138 della Costituzione, che ha
confermato il modello di decentramento funzionale già varato dal
Parlamento della precedente legislatura. In virtù di
questo, ogni Regione potrà adottare soluzioni differenziate persino in
materia di lavoro, sui diritti sociali, sui servizi. Questo è il
quadro esistente che noi vediamo con molta preoccupazione. In questo
medesimo contesto, con le aggravanti a tutti note, si inserisce il tema
del rilancio e dello sviluppo del Mezzogiorno, la cui “questione”
riteniamo vada affrontata in un’ottica di sviluppo dell’intera Nazione
e debba essere oggi considerata come un’opportunità da cogliere per
efficentare l’intero sistema Paese. Al fine di
sviluppare ricchezza e accrescere significativamente il Pil, occorre da un
lato sviluppare la produzione in zone per così dire insature, che
consentono margini di miglioramento molto ampi, come il Mezzogiorno;
dall’altro è necessario cogliere le opportunità provenienti
dall’apertura di nuovi mercati nell’area mediterranea e medio
orientale. Gli strumenti per
realizzare quel fine sono evidentemente quelli che da qualche anno si
affermano, ma che ancora non si traducono in realtà: gli investimenti
infrastrutturali sulle reti di telecomunicazione, ferroviaria, stradale
sono tra le necessità più impellenti per lo scopo. Ambiente e
trasporto
Il sistema del trasporto ferroviario si pone al centro dell’attenzione quale mezzo di mobilità delle persone e movimentazione delle merci, ancor oggi più sicuro rispetto alla modalità terrestre su gomma e più compatibile con le esigenze ambientali sempre più rilevanti ed impellenti. Tali caratteristiche lo rendono quindi un’attività economica senza dubbio di estrema importanza per la collettività. Se consideriamo che, per quanto concerne l’impatto ambientale, il perseguimento degli obiettivi di riduzione di anidride carbonica ed in generale dei gas con effetto serra, fissati nel 1997 dal Protocollo di Kyoto, è in gran parte affidato al ridimensionamento delle emissioni gassose legate ai mezzi di trasporto, possiamo agevolmente comprendere l’importanza che viene ad assumere un concreto, significativo riequilibrio modale volto ad incrementare il vettore ferroviario. Anche relativamente all’aspetto, di non minore rilevanza, attinente la sicurezza, va ricordato che i dati provenienti dall’incidentalità stradale sono di gran lunga superiori a quelli del trasporto su rotaia. Basti pensare ai circa 10.000 decessi ed ai 45.000 feriti medi annui ed al correlativo costo assicurativo stimato, per la collettività, di circa 37.000 miliardi di lire. Appare
dunque utile ribadire, anche per tal versante, l’opportunità di
rimodulare il rapporto tra modalità vettoriali, non soltanto attraverso
meccanismi incentivanti e disincentivanti (l’esito della c.d. carbon tax
non è stato quello atteso, come a tutti è noto), ma attraverso
interventi più decisi sul fronte degli investimenti ed una più incisiva
politica dei trasporti. Il Lavoro ed
il Welfare Tra le esigenze di certezza per tutti i lavoratori, nell’attuale quadro di caotica liberalizzazione sotto il profilo del lavoro (ci si riferisce in particolare all’indeterminatezza di regole in ordine all’applicazione dei contratti), assume una posizione di primario rilievo la necessità di garanzie sulla stabilità del posto di lavoro. Il tema è infatti di nuovo alla ribalta, nonostante un’indiscussa, quasi sensazionale, risposta referendaria, data nel 2000, alla richiesta di abrogazione dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, il quale, come tutti sapete, vincola il licenziamento individuale del lavoratore alla sussistenza di giusta causa o giustificato motivo, ricollegando alla mancanza di tali requisiti la reintegrazione nel posto di lavoro. Una forma di tutela quindi “reale”, contrapposta a quella, che s’intenderebbe proporre in sua vece, “obbligatoria”, che ricollega all’illegittimità del licenziamento l’obbligo del risarcimento del danno in favore del lavoratore e nulla più. La nostra opposizione all’abrogazione di quella norma, che ritenevamo invece giusto estendere il più possibile, fu immediata, perché ritenevamo, ed oggi confermiamo quella nostra convinzione, che la prima esigenza “vitale” dei lavoratori fosse quella di salvaguardare la propria dignità e libertà di poter esprimere le proprie opinioni e modi di essere, senza dover incorrere nell’arbitrio delle decisioni del datore di lavoro, soggetto più “forte” del rapporto contrattuale. Tale esigenza, di oggettività, si pone in termini ancor più perentori per le categorie di lavoratori più “deboli” che necessitano di forme di tutela più incisive. Particolarmente preoccupante appare, in riferimento alla questione in esame, il lavoro femminile, che le statistiche rilevano già largamente precarizzato e flessibilizzato, e per tal versante soggetto ad un maggior rischio d’incertezza, a causa del già preponderante utilizzo di strumenti c.d. atipici d’inserimento nel mondo del lavoro. Ribadiamo dunque la nostra decisa contrarietà all’abrogazione della forma di tutela approntata dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, proprio perché, più efficacemente, restituisce al lavoratore il bene della vita di cui è stato illecitamente privato: il posto di lavoro. Su altro, parimenti essenziale e primario aspetto, i lavoratori aspirano a certezza: quello delle pensioni, sia in termini di intangibilità dei diritti già acquisiti, che in ordine alla fruizione, anche per il futuro, di pensioni dignitose. A tal proposito riteniamo di dover subito esprimere un convinto dissenso nei confronti delle pretestuose spinte a rivedere il sistema pensionistico, in una direzione che consideriamo progressivamente peggiorativa per il mondo del lavoro, ma che appare, purtroppo, ormai un vero e proprio leit motiv degli ultimi Governi che si sono succeduti alla guida del Paese. Il risultato è che si è ridotto il rapporto tra pensioni e retribuzioni al 54%, e la prospettiva, a regole ferme, è quella dell’ulteriore riduzione al 30% nel 2050 (fonte ISTAT/INPS). Si ricordino, quali passaggi fondamentali, le Riforme Amato, del 1992, la Ciampi, nel 1993, la Dini, del 1995, la Prodi, nel 1997. E’ in tale prospettiva che assumono sempre maggior impellenza le attivazioni dei Fondi per le pensioni complementari alimentati dalle Imprese e dai lavoratori, con il TFR. Tuttavia, a coloro che ci richiamano all’esigenza di rivedere il sistema pensionistico, vogliamo rivolgere alcune brevi considerazioni. Innanzitutto, anche a voler prendere a riferimento i tanto ventilati dati europei, va sottolineato che il rapporto tra spesa sociale e PIL, in Italia è più basso alla media europea di ben 4 punti percentuali. Va poi evidenziato che il bilancio del sistema pensionistico sarebbe in attivo ove venisse sgravato dalle c.d. spese assistenziali, tra le quali, lo ricordiamo, assumono un ruolo importante gli interventi di sostegno alle imprese in termini di sgravio e fiscalizzazione degli oneri sociali. Si è calcolato che, senza le spese per assistenza, la sola INPS, nel periodo 1989-1996, anziché un disavanzo di 79.000 miliardi, avrebbe conseguito un attivo per 145.600 miliardi di lire. Nonostante tutto questo, si propone oggi di ampliare il sistema di calcolo c.d. contributivo, che penalizza i futuri pensionati tanto più gravemente ove si consideri la forte tendenza alla precarizzazione, favorita da una notevole deregulation del mercato del lavoro, in particolare per quanto attiene agli strumenti di accesso. Ci riferiamo alle tipologie di costituzione del rapporto di lavoro che vanno dal tempo determinato al lavoro interinale, dal part time all’apprendistato, dal contratto formazione lavoro al c.d. lavoro socialmente utile. E’ stato rilevato che circa l’85% dei rapporti di lavoro costituitisi nello scorso anno rientra nelle tipologie sopra riportate, con punte di precarizzazione più elevate per le lavoratrici. E’ evidente che questi lavoratori (siano essi uomini o donne), senza “posto fisso”, non potendo versare contributi in maniera continuativa e non essendo sostenuti da forme di sostegno economico (come avviene in altri Paesi europei ove vengono altresì versati ai disoccupati temporanei contributi figurativi), non potranno godere di una pensione adeguata e dignitosa. Alla
luce di quanto si è detto, riteniamo in definitiva che ogni ulteriore
riforma delle pensioni non possa e non debba infierire sui già colpiti
lavoratori, pensionati di domani, ma debba agire su meccanismi che
facciano emergere il c. d. sommerso, che va dal lavoro nero all’elusione
ed evasione contributiva, e sul rafforzamento del sistema previdenziale,
che riteniamo debba restare pubblico, autonomamente considerato rispetto
alle voci “assistenziali”.(Torna
all'indice) Durante il
periodo della Divisionalizzazione, unilateralmente attuata dalla Società
F.S., cominciò a delinearsi e consolidarsi un movimento d’opinione che
abbracciava una moltitudine di sindacati autonomi e di base, che, uniti,
avvertivano la maggior incidenza della
loro voce. Veniva in tal
modo ad enuclearsi un progetto di unificazione ad ampio raggio, che
sarebbe poi sfociato nella realizzazione dell’OR.S.A. , con il Congresso
costituente celebrato il 5 novembre 1999. Quel
progetto fu, fin dall’origine, avversato da più parti, perché metteva
assieme e legava, in un'unica realtà sindacale, le esperienze più
significative del sindacalismo autonomo e di base nei trasporti. Se tuttavia da un
lato non stupivano affatto le reazioni negative del sindacato tradizionale
e quelle dell’Impresa, meno attesa era invece l’offensiva condotta
dalla Confederazione Cisal nei confronti delle proprie componenti che
avevano manifestato attenzione ed interesse all’iniziativa. La
Confederazione, infatti, intendeva imporre un percorso che, ove seguito,
avrebbe comportato il tracollo dell’iniziativa sin dal suo sorgere. La Cisal
pretendeva, sostanzialmente, l’inglobamento del nostro Sindacato dei
pensionati e l’affiliazione della neonata OR.S.A. (limitata, secondo il
suo punto di vista, al settore dei trasporti). Una siffatta pretesa fu da
noi prontamente ed energicamente respinta, perché ritenevamo che quelle
realtà, che avevano contribuito alla ideazione ed alla costituzione del
progetto, mai avrebbero potuto accettare di far parte di
un’organizzazione che la stampa del momento dipingeva ormai allo sbando,
dichiaratamente schierata politicamente e prossima a concludere un
percorso pseudo-associativo con una delle Organizzazioni Confederali c.d.
tradizionali. L’OR.S.A.
veniva avanti, invece, come un progetto sindacale tale da rappresentare un
vero e proprio banco di prova per la ricerca e realizzazione di un ruolo
sindacale non subalterno alle esigenze della politica e tale da non
imporre alcuna rinuncia ad autonome analisi ed alle conseguenti e
funzionali iniziative. Il
progetto incentrava il suo prioritario obiettivo nella ricomposizione di
un tessuto sociale assai compromesso, sia dal punto di vista
dell’organizzazione sociale dei
lavoratori, sia sul versante dell’azione sindacale, che riteneva
necessario rafforzare nel ruolo d’interdizione e sviluppare sotto il
profilo propositivo. Difendere
il lavoro come diritto di tutti; salvaguardare lo stato sociale e la
condizione economica dei lavoratori in pensione; preservare il meccanismo
della contrattazione collettiva nazionale; definire nuove regole per
rendere compatibile la tutela e i diritti dei lavoratori con un
riferimento europeo; ripartire il lavoro in un quadro normativo
continentale; affermare la centralità del lavoro nel sistema produttivo,
valorizzandone la sua funzione sociale, accrescendone l’incidenza
nell’Impresa; creare la condizione per la migliore redistribuzione della
ricchezza prodotta: erano questi, fin dall’atto costitutivo, gli
elementi centrali dell’azione del soggetto sindacale che ci si
apprestava a costruire. L’OR.S.A. ,
dunque, come il punto d’incontro, il crocevia di esperienze, anche
diverse, tali da arricchire l’analisi critica e, quindi, il momento di
sintesi per riuscire a svolgere con forza ed efficacia l’azione
sindacale. Un’organizzazione
di sindacati autonomi e di base che, pur nella diversità di percorsi
organizzativi, fosse in grado di coniugarne le specificità e convogliarne
le azioni senza togliere la ricchezza delle rispettive esperienze. Un
sindacato aperto all’apporto costruttivo di tutti coloro che volessero
impegnarsi nell’attività sindacale, intenzionato a raccogliere la sfida
di rappresentare i lavoratori, in un contesto difficile come quello dei
nostri giorni, con lo spirito di chi è consapevole
di poter vincere. Questo
lo spirito che animò ieri la costituzione dell’OR.S.A. ; questo rimane,
fermamente, con il medesimo vigore ed entusiasmo, lo slancio che ci vede
oggi chiamati a dar vita concreta al progetto. Con i sindacati di base abbiamo condiviso la finalità di
sviluppare e sostenere il lavoro, nell’accezione più vasta che designa
e comprende la qualità della vita, conseguibile, in un quadro di regole
certe e democratiche che riconoscano il diritto di sciopero e il suo
esercizio come valori, anche attraverso la partecipazione dei lavoratori
all’Impresa, realizzabile, ove possibile, nella forma dell’azionariato
dei dipendenti. Per la cronaca va
ricordato che, per quanto in particolare attiene al settore ferroviario,
non lasciammo nulla d’intentato: proponemmo a tutte le OO.SS. autonome
di far parte del progetto come fondatori, Sma incluso, il quale, prendendo
tempo, mostrò subito di non essere pronto ad affondare il passo, fino a
che, successivamente, palesò di aver scelto una diversa, per molti versi
antitetica, strada, rispetto a quella intrapresa dall’OR.S.A. . Va altresì
rammentato che alla fase iniziale di costituzione dell’OR.S.A. , come a
voi è ben noto, prese parte attiva e significativa, insieme agli altri,
l’UCS, il quale, con nostro sommo rammarico, nel giro di breve tempo non
mostrò la necessaria determinazione di volersi integrare nel progetto.
Resta comunque in noi fermo e positivo il proposito di riprendere il
dialogo con quell’organizzazione, con il medesimo spirito costruttivo
che l’aveva, all’inizio, caratterizzato. Il progetto è
tuttavia andato avanti ed ha già fatto registrare notevoli progressi
nella costituzione di un soggetto pluricategoriale. Oggi l’OR.S.A.
si è arricchita dell’esperienza sindacale propria di realtà lavorative
importanti quali, ad esempio, quella dei servizi, dei medici, e si
appresta ad organizzare il Comparto Sanità. Le richieste di
adesione sono peraltro diffuse e numerose e nel prossimo futuro riteniamo
di poter completare il nostro percorso organizzativo
generale–confederale. In altri termini
il progetto, che appariva come un ambizioso sogno fino ad appena un anno
fa, si sta trasformando in una concreta prospettiva, che ci autorizza ad
essere ottimisti, vista la corale richiesta che viene dal mondo del
lavoro, sempre più interessato alla nuova realtà sindacale.(Torna
all'indice) 3
- La Clausola Sociale e il PGT Questo tema ci ha
visto impegnati a fondo e con tutte le forze. Il PGT elaborato
nel corso della precedente legislatura ed approvato dalle Camere quale
documento d’indirizzo politico nei Trasporti, pur non recependo e non
risolvendo molte delle problematiche ricadenti sul fattore lavoro
insorgenti con l’avvio del processo di rilascio delle licenze di
trasporto ferroviario, è stato tuttavia un importante atto, perché, per
la prima volta, ha affrontato la liberalizzazione del mercato del
trasporto su ferro considerando ineludibile e fondamentale la dotazione
del sistema di clausole sociali a protezione del lavoro. Il PGT, peraltro
licenziato alla fine della passata legislatura, ha configurato due
versanti d’intervento: quello della previsione di contratti collettivi
di sistema vincolanti per le Imprese di trasporto ferroviario ai fini del
rilascio della licenza; quello della protezione dei livelli occupazionali
in caso di perdita del servizio. Tra queste c.d.
clausole sociali, in particolare, va ricordata quella che conferisce, sia
pure indirettamente, dignità vincolante al CCNL di sistema. Su questa, in
buona sostanza, il PGT ricalca i contenuti dell’accordo Or.S.A-Ministro
dei Trasporti (all’epoca Bersani) dell’8 giugno 2000, correggendo
l’indeterminatezza e la vaghezza di quello che da noi era considerata
una grave inadempienza del Governo della precedente legislatura e dunque
la superficialità nel rilasciare licenze di trasporto ferroviario
trascurando le conseguenze che il processo di liberalizzazione può
comportare sui lavoratori. La previsione di
tali clausole in un atto d’indirizzo governativo, pur da noi considerata
un evidente risultato positivo sotto il profilo politico, poiché conferma
l’importanza di quella che è la nostra linea, tuttavia appare ancora
insufficiente sul versante delle garanzie giuridiche. E’ invece
evidente, e l’esempio ci viene ora chiaro ed emblematico dalla recente
esperienza vissuta nel settore dei servizi F.S. appaltati, in cui circa
undicimila lavoratori rischiano il posto di lavoro, che ben poco possono
soccorrere clausole sociali inserite nel CCNL. Nel citato
settore dei servizi ferroviari in appalto, infatti, tali clausole, seppur
avanzate sul piano della tecnica giuridica, dei contenuti e delle
relazioni industriali, alla prima occasione hanno mostrato tutti i loro
limiti, proprio in ragione del fatto che la loro efficacia giuridica non
poteva essere, come si dice, erga omnes, ma era limitata ai
sottoscrittori. Occorrono dunque
strumenti che prestabiliscano, a monte, l’applicabilità delle norme
concordate nel CCNL all’intero settore. Ovviamente il
meccanismo che riteniamo più efficace, sotto il profilo delle garanzie di
uniformità di trattamenti economici e normativi tra lavoratori del
settore e idoneo ad evitare che si verifichino quelli che, nella stessa
Relazione della Commissione per la verifica del Protocollo sul Costo del
Lavoro del 23 luglio 1993, vengono definiti fenomeni di dumping sociale,
è quello del contratto unico direttamente vincolante per tutte le Imprese
di trasporto ferroviario. Ciò
presupporrebbe, per non incorrere in censure d’incostituzionalità, già
mosse in passato dalla Consulta a meccanismi di estensione diretta
dell’efficacia dei Contratti collettivi oltre le parti stipulanti, la
previsione per legge della rappresentanza
delle OO.SS., che conferisse loro, previa registrazione, la
personalità giuridica. In sostanza
dovrebbe trovare integrale attuazione il dettato dell’articolo 39 della
Costituzione, il quale, come sapete, dopo cinquant’anni di storia della
Repubblica, stava per trovare, un paio di anni or sono, applicazione
attraverso molte delle proposte di legge sulla rappresentanza e
sull’efficacia dei contratti collettivi, che, dopo l’approvazione alla
Camera dei Deputati dei primi 9 articoli, hanno poi subito un definitivo
accantonamento, per l’opposizione politica interposta per le pressioni
di Confindustria. Non possiamo
sottacere come questo meccanismo di salvaguardia, nonostante possa, ai
nostri fini, considerarsi più efficace di qualsiasi “clausola
sociale”, sia tuttavia di difficile attuazione, per lo meno nei tempi
brevi, compatibili quindi con l’incipiente, in taluni casi già
concretizzato, processo di liberalizzazione. Ciononostante
occorre, urgentemente, un sistema di regole che, comunque, scongiuri il
pericolo di dumping sociale e che dunque impedisca che la liberalizzazione
si traduca in una competizione incentrata sulle retribuzioni e sulle
tutele dei lavoratori. Un sistema in
questa direzione compatibile con l’ordinamento è quello di condizionare
il rilascio delle licenze di trasporto ferroviario all’applicazione del
contratto collettivo del settore. E’ una scelta
che il legislatore avrebbe potuto e dovuto effettuare già in precedenza,
proprio perché l’esigenza era stata avvertita e confermata
nell’accordo sul costo del lavoro del 23 luglio 1993, nel quale si era
convenuto che fosse il Governo a dover “emanare
un apposito provvedimento legislativo inteso a garantire
l’efficacia erga omnes (dei CCNL) nei settori produttivi dove essa
appaia necessaria al fine di normalizzare le condizioni concorrenziali
delle aziende”. Sono impegni
testualmente assunti dal Governo e, ricorderemo, di quell’accordo fu
tenace promotore l’attuale Presidente della Repubblica C.A. Ciampi.
Tuttavia tale
impegno, a fronte dell’invece immediato congelamento della scala mobile,
a tutt’oggi è rimasto lettera morta. Eppure il Governo
avrebbe potuto esplicitamente, in particolare durante la precedente
legislatura, dar seguito ed adempiere a quell’obbligo assunto il 23
luglio 1993 e ribadito, specificatamente per il mondo dei Trasporti, nel
c.d. Patto delle Regole del 23 dicembre 1998, prevedendo un meccanismo per
rendere, sia pure indirettamente, efficaci i contratti collettivi nei
confronti delle Imprese di trasporto ferroviario, in occasione
dell’emanazione dei regolamenti attuativi delle direttive europee n.
440, 18 e 19. Ci riferiamo al
momento dell’emanazione del DPR 277, nel luglio 1998, e del successivo
DPR n. 146, nel marzo 1999, occasioni in cui il Governo, invece, glissando
sul punto relativo all’applicazione del contratto collettivo di settore
quale condizione per il rilascio della licenza e dimenticando gli impegni
assunti, si è limitato alla previsione di generici requisiti di
“onorabilità”. Per la verità,
in precedenza, con il Decreto Legislativo 422, del 19 novembre 1997, il
Governo era intervenuto in modo abbastanza chiaro e preciso sul tema
dell’efficacia dei contratti collettivi, prevedendone, all’articolo
19, “l’obbligo di applicazione per le singole tipologie del comparto
dei trasporti”, quale impegno giuridico delle Imprese sancito nel
contratto di servizio, ma tale statuizione era limitata al solo esercizio
del trasporto pubblico regionale e locale. Ecco che allora
il Governo, il quale, lo ricordiamo ancora, ha rinnovato, per quanto
concerne il trasporto ferroviario, l’impegno, sopra menzionato, dell’8
giugno 2000, che estende il meccanismo previsto dal citato Decreto
Legislativo 422/1997 a tutte le Imprese di trasporto ferroviario operanti
sul territorio italiano, deve ora concretizzare quanto concordato, con un
ulteriore intervento legislativo (in caso di delega) ovvero regolamentare. Altrimenti, le
regole che oggi disciplinano la materia dell’applicazione dei CCNL, sono
tali da consentire, secondo un indirizzo giurisprudenziale consolidato,
qualsiasi applicazione contrattuale, non sussistendo alcun vincolo per le
Imprese correlato all’appartenenza ad una categoria merceologica o
professionale specifica. In altri termini:
altrimenti è “prateria”. Riteniamo
che non fosse questa l’intenzione dei costituenti e che al contrario,
sotto il profilo materiale, la carta costituzionale intendesse scongiurare
tale evenienza. L’esigenza di
stipulare un contratto di settore con efficacia generalizzata alle Imprese
di trasporto ferroviario è tanto più impellente ove si consideri
l’esperienza già avvenuta in altri settori “liberalizzati”. In particolare nella telefonia, essendo il contratto di settore intervenuto dopo che sul mercato operavano già diverse Società (in particolare nella telefonia mobile operavano, all’epoca, TIM, Omnitel e Wind), il risultato è stato che, per non urtare gli equilibri interni raggiunti dalle singole Imprese che applicavano diversi contratti, si è raggiunto il paradosso per cui il CCNL stipulato non è vincolante neanche per le Imprese che lo hanno sottoscritto, le quali restano pertanto libere di applicare anche altri contratti. Nel nostro ambito, non siamo troppo lontani come si potrebbe credere da tale evenienza. Basti pensare che
la Società di trasporto ferroviario Rail Track Company, dell’Ing.
Sciarrone, ha recentemente ottenuto il certificato di sicurezza da RFI, e
che, la medesima, ha già effettuato il primo treno merci lo scorso 15
ottobre, sia pure con i
risibili risultati che tutti, oggi, conosciamo. Va ricordato che
quella Società non applica né il CCNL dei ferrovieri né alcun altro
contratto collettivo, bensì un contratto individuale che,
eufemisticamente, potremmo definire capestro e che riteniamo inaccettabile
persino sotto il profilo della sicurezza.(Torna
all'indice) Il Congresso del
Sindacato dei ferrovieri non può evidentemente esimersi, oggi,
dall’affrontare i problemi che travagliano l’Azienda F.S., poiché ad
essi, come è ovvio che sia, è legato il futuro dei lavoratori, la loro
condizione sociale, la loro vita di relazione. Nel quadro che
oggi si presenta, occorre preliminarmente sottolineare, per l’ennesima
volta, che l’Azienda F.S., da circa 15 anni, è interessata da un
processo di ristrutturazione, per lo più slegato da ogni valutazione
improntata allo sviluppo dell’Impresa, anche a causa del ritardo con cui
sta venendo avanti il processo d’investimenti. Questi ultimi,
ove non armonizzati, infatti, rischiano di far diventare il fattore lavoro
l’unico elemento su cui far ricadere la ristrutturazione, con le azioni
sul costo complessivo e su quello individuale. E’ una
preoccupazione che abbiamo avuto ed espresso immediatamente, soprattutto
quando, in occasione dell’illustrazione dei vari Piani d’Impresa,
abbiamo intuito che essi contenevano errori di programmazione e
prospettive d’investimento da ritenere, a dir poco, ottimistiche. E’ il caso
dell’Alta Velocità, ideata da Necci, progetto che, come ben sapete, è
stato dai noi criticamente bocciato, poiché si presentava come un sistema
di circolazione a sè stante che favoriva lo spezzettamento della Rete
ferroviaria, proprio per l’essere un sistema dedicato e specializzato al
trasporto passeggeri di lunga percorrenza. Su questo aspetto occorre
riconoscere che l’attuale dirigenza ha sostanzialmente corretto
l’impostazione iniziale, nel senso dell’integrazione del nuovo
percorso ferroviario nell’unico sistema dei trasporti su ferro del
Paese, e quindi è passata da quell’idea al progetto Alta Capacità. E’ il caso poi
della Joint-Venture FS-SBB, sulla quale il Piano d’Impresa, sul versante
della Cargo, puntava tutto. Fin
dall’inizio, quando cioè fu presentato il progetto di Joint Venture,
esprimemmo le nostre osservazioni critiche, in primo luogo perché esso
non si poneva in linea con l’assetto organizzativo di F.S. S.p.a., in
due soli soggetti societari, l’uno di gestione dell’Infrastruttura,
l’altro per lo svolgimento delle attività di Trasporto, secondo gli
indirizzi governativi. Inoltre, dal
punto di vista del merito, evidenziammo subito gli aspetti negativi che
avrebbe comportato la realizzazione di un sostanziale
“monopolio” del transito di Chiasso, per di più in una
relazione trasportistica privilegiata con un Paese non coinvolto nel
processo di unificazione monetaria europea. In quella
medesima occasione rilevammo la debolezza dell’alleanza con la SBB,
soggetto societario di modeste dimensioni, con costi gestionali più alti
di quelli in atto nella nostra rete, con un fatturato più basso di almeno
400 miliardi annui e con una modesta capacità di penetrazione nei mercati
esteri. In particolare,
sul versante del trasporto merci, sottolineammo il dato di scarsa
incidenza commerciale di SBB nel raffronto con le altre Imprese
ferroviarie europee. In definitiva
ritenemmo l’accordo societario con SBB un’errata scelta strategica di
F.S., gravata per di più dall’aver accettato la condivisione al 50% del
ruolo decisionale a fronte di un apporto organizzativo, patrimoniale e
commerciale di gran lunga superiore. Questo progetto,
come tutti sappiamo, è fallito e ci siamo trovati in una condizione in cui, rispetto al Piano d’Impresa, la
Cargo presenta una perdita di circa 500 Miliardi, su un fatturato di 1500,
rivelandosi l’elemento di forte ritardo e appesantimento dei conti della
Società Trenitalia, la quale, senza questa vera e propria emorragia,
avrebbe potuto ambire al conseguimento dell’obiettivo non soltanto del
pareggio, ma addirittura di utili di bilancio. Se abbiamo, in
precedenza, dato atto all’attuale dirigenza di aver avviato a soluzione
il problema Alta Velocità, anche se non è ancora chiaro come verrà
finanziata, confermiamo ora tutte le ragioni della nostra censura al
progetto Cargo, che riteniamo altresì gravato da un’incapacità di
conduzione. Fortunatamente ci
si è resi conto di questa inadeguatezza e, dunque, è stata affidata la
Responsabilità della Divisione Cargo a soggetto che ha già mostrato di
saper fare bene in altri impegni. Questi ha
peraltro preannunciato l’abbandono del progetto Joint Venture con SBB e
si propone oggi con un assetto strategico che può considerarsi migliore
rispetto al precedente, proprio perché si ripromette di presidiare, con
l’ opportuna specializzazione, le singole catene di prodotto. Torniamo ora alla
ristrutturazione dell’Azienda, per sottolinearne l’inconsueta,
inaudita durata, tale da provocare una notevole disaffezione nei
lavoratori. Il messaggio che
già veniva fuori dal Piano d’Impresa, non poteva che provocare un
effetto di questo tipo: il 30% d’incremento di produttività a fronte di
un salario ridotto del 20%. Trasmettere il
messaggio secondo il quale per ogni tre lavoratori uno di loro è di
troppo, è sicuramente un pesante segnale, che finisce col diventare
devastante quando ai tre rimanenti si prospetta la riduzione del 20% di
salario. In sostanza il
messaggio che emerge è negativo per tutti; come se l’Azienda, nel suo
progetto, avesse già optato per la strada contro il lavoro e a favore di
un’operazione meramente finanziario-contabile. Oggi, agevolati
da una congiuntura favorevole sul versante della domanda di trasporto
ferroviario, anche se importanti risultati si erano già registrati prima
dell’infausto 11 settembre ultimo scorso, che lascia ragionevolmente
ipotizzare risultati gestionali notevoli sul fronte delle entrate (con
esclusione di Cargo, ove la
prospettiva della recessione, pronosticata per i prossimi sei mesi, può
essere fonte di ragionevole preoccupazione), i ferrovieri sono alla giusta
ricerca di messaggi tranquillizzanti, positivi sul versante
dell’occupazione, del riconoscimento del lavoro, dei salari. In questo
auspicabile contesto di stabilità e certezze positive, i sostenitori
dell’applicazione della legge 223/91 e della Cassa Integrazione
Guadagni, quale ammortizzatore sociale per i ferrovieri, debbono
accantonare definitivamente la loro convinzione ed il loro progetto. Abbiamo sostenuto
che le uscite con le c.d. finestre Dini, a valle dell’attuazione di
progetti condivisi, che avrebbero comportato esuberi di personale,
dovessero essere agevolate e qui ribadiamo quell’opzione. Ma, con
altrettanto vigore ed insistenza, rivendichiamo il Fondo di Sostegno,
istituito con accordo del 21 maggio 1998, come unico ammortizzatore
sociale accettabile, per la sua natura solidale, e siamo disponibili ad
adeguarne le modalità d’intervento e le finalità, onde renderlo
operativo anche oltre il 31 dicembre 2001. In altri termini,
anche nel caso di difficoltà temporanea, sotto il profilo organizzativo,
dell’Impresa, i livelli di reddito dei lavoratori dovranno permanere nei
limiti della accettabilità, così da scongiurare il pericolo che i
processi di riorganizzazione vengano a gravare pesantemente sui
lavoratori, retribuiti, ove fosse applicata la CIG, con un’integrazione
salariale di poco superiore alle pensioni sociali che, come ben sapete, il
Governo in carica si appresta al elevare ad 1.000.000 al mese. Questo vale anche
come monito per chi, adottando posizioni strumentali, oggi impedisce le
uscite con le c.d. finestre Dini, per essere legittimato, dopo il 31
dicembre 2001, a chiedere l’applicazione ai ferrovieri
dell’ammortizzatore sociale facente capo alla 223/91 e quindi della CIG
(come mostra di predire la Relazione Gronchi del 1999, esperto del
Ministero del Tesoro durante il Governo D’Alema). Quale modello per le F.S. ? A
tutt’oggi, non appare chiaro l’orientamento che lo Stato italiano
intende, in concreto, attuare sulla F.S. S.p.A.; in altri termini, quale
modello societario intenda perseguire. Tale
situazione è dovuta al fatto che il modello imperniato su due soli
soggetti societari, uno per la gestione dell’Infrastruttura e l’altro
per le attività di trasporto, nell’ambito di un’unica holding, è
stato oggetto di distorsioni ed è sempre stato presentato come
suscettibile di ulteriori evoluzioni. Anzi,
la Dirigenza F.S., come detto, mostrava positiva attenzione e predilezione
per il modello inglese, malgrado la tenace e decisa opposizione del
sindacato. Molti
componenti del gruppo dirigente, anche politico, consideravano quel
modello la panacea di tutti i mali e la soluzione di ogni problema. Nessuno,
ora, ha più il coraggio di sostenerne la validità. Lo
stesso vertice F.S., oggi, si preoccupa di rassicurare i ferrovieri e la
collettività nazionale precisando che il modello italiano è un altro,
omettendo, però, di riconoscere aver sottovalutato ed in un certo senso
snobbato le esortazioni, in proposito, rivoltegli dal sindacato,
strenuamente impegnato a battere l’idea di trasformare FS
sulla scia dell’esempio anglosassone. Se
oggi dunque, con buona ragione, possiamo escludere che l’assetto del
sistema ferroviario possa essere quello inglese, resta aperto il tema
della configurazione del quadro di riferimento in cui si svolgerà
l’attività ferroviaria ed in primo luogo quello della struttura
di F.S.. L’attuale
modello, infatti, della Holding e delle due Società controllate, l’una
per l’infrastruttura l’altra per il trasporto, sarebbe posto in
discussione dall’attuazione della normativa europea ancora in itinere. Quest’ultima
imporrebbe, infatti, che la definizione dei pedaggi e l’allocazione della capacità ferroviaria non potrebbero
essere attribuite al gestore dell’Infrastruttura ferroviaria ove questo
facesse parte di un soggetto societario collegato con imprese di
Trasporto. In tal caso si dovrebbe scegliere tra due possibili strade: -
la definitiva separazione societaria tra RFI e Trenitalia, di fatto
sopprimendo la Holding F.S., ossia il cordone ombelicale che le unisce; -
la istituzione di un’Autorità indipendente, sul piano organizzativo,
finanziario, giuridico e decisionale, sia dal gestore
dell’Infrastruttura, che dalle imprese di Trasporto, con funzioni di
controllo e di attuazione dell’accesso alle
ferrovie. In
quest’ultima evenienza, F.S. potrebbe rimanere un unico soggetto con RFI
e Trenitalia, società in un unico Gruppo e questa considerazione ci
induce a privilegiare questa seconda opzione, che, per di più, mantiene
il pregio di rafforzare l’indipendenza dell’organismo di controllo e
vigilanza anche dal potere esecutivo. Tale
scelta, pur se soggetta ai tempi tecnici dell’iter procedurale che
condurrà poi al recepimento della direttiva nell’ordinamento giuridico
italiano, riteniamo debba essere fin da oggi oggetto di dibattito per
approdare ad un ulteriore elemento di chiarezza.(Torna
all'indice) 5
– La FISAFS e l’OR.S.A. Ferrovie Ora ci
apprestiamo a trattare uno dei temi che riteniamo fra i più appassionanti
ed esaltanti della nostra esperienza sindacale: la costituzione dell’OR.S.A.
ferrovie. A questo
Congresso chiediamo il suffragio ed il mandato non per superare la FISAFS,
ma per consentire alla nostra esperienza di evolversi in un nuovo soggetto
che possa, ancora più efficacemente, rappresentare gli interessi dei
lavoratori, rendendoli più direttamente protagonisti dell’azione
sindacale. La scelta che ci
apprestiamo a compiere è tale da motivare i lavoratori iscritti e i
quadri sindacali a dar vita ad un sindacato egualmente e coerentemente
rigoroso con qualunque controparte, con qualsivoglia “Governo” diriga
il Paese. Un soggetto
sindacale che stabilisca un nuovo rapporto con la base attraverso il
coinvolgimento diretto delle RSU elette nelle liste OR.S.A. . Un’organizzazione
quindi in grado di esprimere una linea politico-sindacale chiara e precisa
per il mondo del lavoro ferroviario, vigorosa ed in grado di assumere le
responsabilità conseguenti alla condivisione o meno di scelte effettuate
dalle controparti datoriali e governative a seconda che siano o meno in
accordo con gli interessi dei lavoratori. E’
il progetto stesso che, con la sua nascita, ha posto al centro della sua
attenzione ed azione il mondo del lavoro e quindi i diritti, le tutele, la
qualità della vita dei lavoratori. Con questi
obiettivi ed in tale quadro, assieme ai colleghi di COMU, SAPEC e SAPENT,
anch’essi, come ed al pari di noi, proiettati all’evoluzione ed alla
confluenza della loro
esperienza nella nuova organizzazione, stiamo per effettuare il passo
definitivo per la concretizzazione, nel mondo del trasporto ferroviario,
del progetto dell’ OR.S.A. . Il fondamentale,
decisivo passo, è quello che sarà chiamato a compiere questo Congresso.
Infatti, conclusosi positivamente il nostro dibattito, anche gli altri
sindacati dell’OR.S.A. del settore ferroviario, saranno chiamati, a
compiere il medesimo passaggio. Senza alcuna
primogenitura, insieme e come loro abbiamo speso il massimo delle energie.
Ognuno di noi ha ceduto qualcosa, ben sapendo di essere in procinto di
realizzare un progetto importante, di costituire un soggetto sindacale che
abbia la forza e la consapevolezza di essere protagonista nel mondo del
lavoro e che possa pretendere dalle controparti, sia aziendali che
politiche, che le Relazioni Industriali procedano in modo tale da
rifuggire dalle tentazioni d’instaurare privilegi per l’una o per
l’altra parte sindacale o, peggio, operino nel senso di acuire i solchi
tra le OO.SS., nella imperitura logica del divide et impera. Dalle altre
Organizzazioni Sindacali ci attendiamo che prendano atto del
consolidamento dell’OR.S.A. , come nuova realtà sindacale, quale
espressione, in particolare nel settore ferroviario, ove è sorretta ed
alimentata da consensi anche ragguardevoli, dell’opinione di
altrettanti, numerosi, lavoratori. Un’organizzazione che intende
impegnarsi nella battaglia per l’affermazione degli obiettivi condivisi,
nel rispetto delle legittime diversità, ma che chiede, tuttavia,
chiarezza nelle finalità perseguite, lealtà nei comportamenti,
confidando nel fatto che, nell’avvenire, in uno scenario di auspicabile
unificazione dell’intero fronte sindacale, non si ricada negli errori
commessi fino al più recente passato.(Torna
all'indice) 6
– Problematiche
contrattuali Considerando l’esigenza di quella che abbiamo sopra definito clausola sociale quale elemento prioritario, a monte, riteniamo che la definizione del contratto collettivo per il sistema del trasporto ferroviario, sia un obiettivo necessario per regolamentare i processi di liberalizzazione. Tutto questo, ben consapevoli delle difficoltà e complessità che sussistono nel negoziato, che ci vede impegnati, ancor oggi, a definire l’ambito di applicazione del contratto, a causa dell’elusione del problema da parte datoriale, rinnovata nell’ultima proposta di Confindustria. Sulla parte economica, non siamo ancora, ad oggi, a conoscenza dell’intero progetto definitivo; nel senso che permangono le carenze dovute alla mancanza di un quadro chiaro sul contratto c.d. di confluenza, attraverso il quale ci viene prospettata l’attuazione dell’impegno assunto l’8 giugno 2000 dal Ministro Bersani e rinnovato, in data 10 ottobre 2001, dall’attuale Governo, circa il mantenimento degli attuali livelli retributivi. Su questo versante, mentre ci attendiamo che il Governo sia conseguente agli impegni assunti, dobbiamo evidenziare che l’impostazione di Confindustria si presenta problematica, perché presenta differenze retributive tra l’ipotesi di contratto di sistema e contratto F.S. vigente, concernenti sia lo stipendio base che le c.d. competenze accessorie. L’ingente ammontare di tali entità, sommate tra loro, da Confindustria confluenti nel c.d. ERI, ancorché formalmente garantito attraverso il contratto di confluenza, costituirebbe un elemento di costo tale da porre il ferroviere come si dice “fuori mercato”, vanificando, in tal modo, ogni sforzo richiesto al sindacato sul versante delle retribuzioni. Ci sembra dunque necessario un meccanismo di garanzie forte ed esigibile. Sull’orario di lavoro, va subito sottolineato che non è pensabile che lavoratori inseriti nel medesimo ciclo produttivo rispondano a diverse normative di lavoro. Riteniamo infatti che un doppio regime darebbe luogo a problemi gestionali di difficile risoluzione. Va quindi chiarito che nell’Impresa F.S. non può ritenersi accettabile un aumento dell’orario settimanale di lavoro. In merito all’andamento del negoziato per il CCNL di sistema, vogliamo esprimere una perplessità circa i motivi che determinano il ritardo della sua definizione. Il timore è che esso non sia dovuto soltanto alle pur sussistenti complessità di contenuti, ma che nasconda anche una strategia di attesa, tendente a porre il sindacato di fronte alle difficoltà provocate dal dover inserire un contratto di sistema in un contesto di liberalizzazione avanzato, così come avvenuto nel settore delle telecomunicazioni. A tal proposito ricordiamo ancora RTC, che, ad esempio, applica contratti individuali di lavoro e richiede, ai propri dipendenti, 42 ore settimanali. Anche sotto il profilo della sicurezza dell’esercizio e del lavoro occorre che il contratto di sistema rafforzi ed imponga limiti oggettivamente invalicabili e comuni alle Imprese di Trasporto. Particolare attenzione deve essere riservata alla grave situazione concernente gli infortuni e le malattie professionali, oggi già altamente preoccupante e tale da richiedere più efficaci garanzie. In tal senso va considerato con favore lo sforzo posto in atto da RFI volto ad attenzionare il fenomeno comparativamente alle altre realtà europee ed a prevedere un’importante campagna di sensibilizzazione finalizzata ad accrescere l’informazione sui diritti e sugli obblighi concernenti l’Impresa e il lavoratore. E’ auspicabile che analoghe
iniziative vengano intraprese non soltanto dalle Imprese
ferroviarie, Trenitalia in primo luogo, ma soprattutto dalle ditte
appaltatrici dei servizi di manutenzione e costruzione d’impianti
ferroviari, sulle quali l’incidenza degli infortuni mortali ha raggiunto
livelli preoccupanti.(Torna
all'indice) I
processi di liberalizzazione avviati o realizzati sono stati sinonimo di
mutamenti prevalentemente penalizzanti per il mondo del lavoro ed
ovviamente vissuti in modo traumatico e negativo. In
particolare la loro realizzazione è stata sempre accompagnata, quasi in
una logica di causa-effetto, da precarietà, da riduzioni salariali, dalla
creazione di esuberi e conseguenti licenziamenti, ovvero, come nel caso
delle ferrovie, cancellazione di migliaia di posti di lavoro. In tale scenario,
a fronte della giustificata contrapposizione dei lavoratori a quei
processi, una prima strada percorribile era rendere il cambiamento
compatibile con le esigenze del lavoro, attraverso messaggi e conseguenti
fatti rassicuranti sui versanti sopra ricordati. Altra strada era
quella della repressione del dissenso attraverso misure restrittive al
diritto di sciopero. Oggi, in
particolare dopo l’ultima delibera della Commissione di Garanzia del 13
settembre 2001, sembra che sia questa la strada intrapresa, per lo meno
nell’ambito del processo relativo al trasporto ferroviario, sulla scia
di quanto avvenuto nel trasporto aereo. Noi riteniamo questa strada
nettamente antitetica
alle intenzioni ed ai propositi che erano alla base della Carta
costituzionale varata nel ’48. Nella Carta costituzionale, infatti, il riconoscimento del diritto di sciopero partiva da una precisa scelta che teneva conto della disparità sostanziale tra datori di lavoro e lavoratori, considerando questi ultimi parte più “debole”. In quella stessa logica venne infatti, all’epoca, rifiutata la previsione di un simmetrico diritto di “serrata”. Oggi, invece, sotto le mentite spoglie della garanzia della libertà di circolazione, viene restituito alle parti datoriali il massimo del vantaggio. Riteniamo pertanto
insostenibile, sotto il profilo dell’effettività del diritto, la
subordinazione
dell’esercizio dello sciopero a referendum, così come ventilata nel
Libro Bianco del Ministro del Lavoro dell’attuale Governo, e, per i
ferrovieri, contenuta nella citata delibera della Commissione di Garanzia,
essendo per di più il diritto di sciopero una situazione soggettiva
attiva individuale, il cui esercizio avviene collettivamente. Subordinare a
referendum l’azione di sciopero significa infatti annullare la
possibilità per i lavoratori di contrastare tempestivamente gli atti
unilaterali iniqui e le violazioni contrattuali delle Aziende. Inoltre il
referendum, con tutte le difficoltà in ordine alle verifiche sulla
correttezza dell’esito, in un’Impresa di notevoli dimensioni quale FS,
richiedendo un non indifferente lasso di tempo (oltrechè risorse) per
l’organizzazione e la definizione, ove
coniugato con periodi di
franchigia, preavvisi ed altro, renderebbe impossibile il ricorso
all’azione di sciopero da parte dei lavoratori. Quello che si
verifica, in particolare, nel mondo ferroviario rischia quindi di
costituire la punta avanzata di una palese ingiustizia che, di fatto,
tende ad impedire l’esercizio del diritto di sciopero ai lavoratori,
proprio nel momento in cui si cerca di far passare su di loro un processo
di liberalizzazione i cui risvolti negativi sono fin dall’inizio apparsi
in linea con la generalità dei casi. Ecco che
riteniamo, pertanto, necessario ricercare un consenso diffuso e
trasversale il più possibile tra le Organizzazioni sindacali ed i
lavoratori, affinché l’opposizione alla tendenza sopra ricordata, che
tende a comprimere il diritto di sciopero, possa assumere connotati di
rilevanza ed efficacia concretamente e fortemente incisivi. A tal fine ci
apprestiamo a fondare, assieme alle altre organizzazioni più sensibili al
problema, un’associazione finalizzata alla difesa del diritto di
sciopero, del pluralismo e delle libertà sindacali, della democrazia nei
luoghi di lavoro, della difesa, qualificazione e sviluppo dei servizi
pubblici, anche in rapporto con le associazioni degli utenti e dei
consumatori, dotata di strutture articolate sul territorio nazionale in
grado di dare le più idonee risposte alle problematiche collegate alle
finalità sopra citate.(Torna
all'indice) Dall’assise
Congressuale, che stiamo iniziando, i lavoratori attendono un forte
impulso all’evoluzione della Fisafs e del mondo sindacale autonomo e di
base. Questo consentirà
al gruppo dirigente, che verrà eletto, di completare il processo di
unificazione nell’OR.S.A. settore ferroviario, conferendo a questo
soggetto una rinnovata
capacità negoziale e potenzialità di mobilitazione dei lavoratori, a
fronte dei processi portati avanti sulla base di una deregulation spinta,
talora contro le istanze e le esigenze del mondo del lavoro. La Fisafs ha già
svolto, negli anni passati, un ruolo importante tra i ferrovieri,
distinguendosi per la capacità di elaborazione, la qualità del quadro
dirigente e la incisività nella lotta e mobilitazione, proponendosi ai
lavoratori quale strumento per affermare le loro esigenze e fornendo ai
propri rappresentanti l’opportunità di crescere in un’esperienza
ricca di motivazioni e soddisfazioni. Oggi, questo
Congresso accompagna una Fisafs proiettata in avanti, con tutto il suo
patrimonio di esperienze, di successi, talvolta d’insuccessi, che ne
hanno però sviluppato gli “anticorpi”. Una Fisafs che
non si limita a guardare indietro, consapevole del fatto che i problemi
incombenti rappresentano un’esperienza del tutto nuova. Una Fisafs pronta
a spiccare il volo, con un unico corale salto, verso una realtà nuova, più
coinvolgente ed esaltante. Una Fisafs che
continuerà a valorizzare le proprie risorse umane ed ideali, ed anzi le
arricchirà di nuove esperienze, nella solita, ma imprescindibile, ottica
solidaristica. Proprio quei
nuovi processi di cui si parlava, richiedono oggi al sindacato uno sforzo
eccezionale sotto il profilo della intensità, della durata, della sfera
d’influenza, della solidarietà; quel medesimo sforzo che ci consente,
già oggi, di poter affermare agli undicimila lavoratori del settore dei
servizi F.S. appaltati che il
loro è un problema che appartiene a tutti noi, perché consideriamo che
le altrettante lettere di preavviso di licenziamento costituiscano un
grave attacco non soltanto ai singoli o a quella specifica categoria, ma
all’organizzazione intera. Sapremo
dimostrare che i ferrovieri dell’OR.S.A. concorreranno in maniera
tangibile alla difesa di questi lavoratori. Sul versante
ferroviario contingente, mentre ribadiamo la richiesta che venga
corrisposto ai lavoratori quanto maturato per prestazioni rese (premio di
risultato 2000) e per recupero inflattivo, intendiamo affermare che, alle
uscite di personale per esuberi certificati, si debba dar corso
utilizzando le c.d. finestre Dini. Avvertiamo
pertanto gli eventuali fautori della applicazione della CIG ai ferrovieri,
che l’OR.S.A. sarà determinata a contrastare ogni progetto che vada in
tale direzione. Quanto alla
definizione di un contratto di sistema del trasporto ferroviario unico e
vincolante per le Imprese, la consideriamo un obiettivo primario, ma
riteniamo che la complessità della vertenza sia tale da imporre la
ricerca di soluzioni idonee alla ricostituzione di un fronte unitario di
lotta, fondato su un progetto di tutto il movimento sindacale convergente
su obiettivi comuni da conseguire, di cui ne suggeriamo alcuni in questa
sede. Un contratto
collettivo di sistema unico, vincolante per le Imprese di trasporto
ferroviario operanti sul territorio nazionale; garanzie sui livelli
retributivi; sicurezza nella duplice accezione, sul lavoro e
dell’esercizio, anche in correlazione con l’orario di lavoro; difesa
del diritto di sciopero. Ovviamente
riteniamo questi obiettivi implementabili con ulteriori proposti alla
condivisione comune. Se oggi
rinnoviamo questa proposta a tutte le OO.SS., è perché siamo convinti
che la divisione del sindacato, e quindi dei lavoratori, finisca per
avvantaggiare le controparti. Siamo certi ed
abbiamo avuto modo di sperimentarlo direttamente, che l’esigenza
dell’unificazione del fronte sindacale è avvertita dai lavoratori
stessi. Altrettanto consapevolmente dobbiamo però, qui, affermare che,
nella malaugurata ipotesi in cui non si dovesse pervenire
all’auspicabile unità, emergerà la diversità di obiettivi. In tal
caso intraprenderemo la strada della lotta solitaria preceduta
dall’attivazione di tutto il gruppo dirigente e degli attivisti
sindacali in un eccezionale opera di capillare, puntuale sensibilizzazione
e informazione dei lavoratori. Riteniamo infatti che gli obiettivi sopra
menzionati siano degni da meritare uno straordinario impegno da parte di
tutti. Vorrei chiudere
con una breve notazione personale. Ringrazio tutti
coloro che hanno collaborato con me in questi anni, in particolare quanti,
anche con vivacità dialettica, hanno contribuito al successo della nostra
Federazione. Ringrazio i
Segretari Regionali, che mi hanno accompagnato in questo percorso, con
abnegazione e con la consapevolezza di chi sa di tessere una trama
complessa ma importante. Consentitemi, infine, di concludere questo intervento con la passione, di chi, convinto di intraprendere congiuntamente ed unitamente all’organizzazione, un cammino di sviluppo e di rinnovamento, sa di poter chiedere, con vigore, a tutto il quadro dirigente sindacale, ad ogni livello, di continuare nell’impegno con immutata serietà e convinzione, per contribuire a rendere grande l’OR.S.A. , con la stessa capacità ed entusiasmo che i nostri predecessori hanno profuso per affermare la grandezza della Fisafs. ------------------------------------------------------------------------------------ XIII
CONGRESSO
FISAFS-OR.S.A. CHIANCIANO TERME (SI)
7 – 8 – 9 NOVEMBRE 2001
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