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Polemiche oziose
La
polemica innescata dall’accordo siglato l’8 giugno scorso, tra il
Ministro dei Trasporti Bersani ed i sindacati dell’OR.S.A. (Settore
Ferrovie), offre l’occasione per “mettere a fuoco” una situazione
connotata da molteplici trame di una complessità tale da rendere la
lettura dei fatti confusa e, talvolta, incomprensibile perfino agli
addetti ai lavori. Proviamo
a ragionare in sequenza. L’accordo
del 2311.99 ha dilatato la divisione del fronte sindacale già
evidenziatasi con l’avvio del processo di societarizzazione al momento
della emanazione degli Ordini di Servizio emanati il 7 maggio 1999
dall’Amministratore Delegato delle FS. Le
ragioni di maggior dissenso si sono subito concentrate su due questioni.
Prima: la mancata introduzione della c.d. “clausola sociale”
per impedire il formarsi in Italia, nel delicato sistema del trasporto
ferroviario, di un mercato del lavoro “a prezzi stracciati” quale
unico strumento di concorrenza. Seconda: la garanzia dei livelli
occupazionali e salariali nel settore ferroviario. Una garanzia che, alla
luce dell’introduzione dell’istituto dell’ER.I. (Elemento
Retributivo Individuale) con scadenza alla fine del 2003 ed il contestuale
impegno di ridurre il costo del lavoro del 18-20% nell’arco di validità
del CCNL, era tutt’altro che assicurata dall’accordo del 23 novembre
1999. Su
queste due questioni di fondo, ben più imprescindibili d’ogni altro
traguardo contrattuale, i sindacati dell’OR.S.A. hanno portato allo
sciopero i ferrovieri per ben cinque volte ottenendo da questi consenso ed
incoraggiamento a proseguire su questa strada. Sulle medesime questioni,
le organizzazioni sindacali firmatarie di quell’accordo hanno, invece,
continuato a sostenere trattarsi “d’interpretazioni capziose e di
allarmismi ingiustificati”, tentando di minimizzare la portata della
vertenza e riducendo il tutto al sillogismo secondo il quale l’E.R.I. è
un istituto contrattuale di scarsa incidenza (in una ipotesi fatta
circolare in quegli ambienti sindacali si parla di importi medi mensili
intorno alle trentamila lire e di una cifra annua media di 24 miliardi). Da
parte sua la Società FS, ha continuato a ripetere -a turno- per bocca del
suo Presidente Demattè o dell’Amministratore Delegato Cimoli, che il
valore dell’E.R.I. è compreso tra gli 800 e i 1000 miliardi (con
ricadute individuali che -è facile dedurre- sono comprese tra le 200 e le
800 mila lire). Si
può ben capire dunque la confusione che può ingenerarsi nel lavoratore
delle FS rispetto a questa girandola di interpretazioni e di cifre. Per
ovviare a questa inevitabile mescolanza d’informazioni e di valutazioni,
tuttavia, i lavoratori possono attingere direttamente a documentazioni
esistenti e verificare l’attendibilità delle posizioni espresse dalla
parti in causa. Il
testo di quell’accordo è fin troppo chiaro, ma se si intendesse
utilizzare valutazioni ed interpretazioni di esperti considerati al di
sopra delle parti si può certamente far riferimento al documento di
analisi sul costo del lavoro in FS-Spa elaborato dal professor Sandro
Gronchi, advisor incaricato dal Ministro del Tesoro ed al pare da
noi richiesto al Professor Alessandro Garrilli (Docente di Diritto del
Lavoro all’Università di Palermo ed ex Sottosegretario al Lavoro).
Nell’uno e nell’altro caso sono chiaramente descritti i rischi per il
riconoscimento dell’E.R.I. in caso di trasferimento del personale per
cessione o affitto di ramo di attività, la sua durata e le sue reali
dimensioni economiche. D’altra
parte, è un fatto che, a distanza di otto mesi, quell’accordo non abbia
ancora prodotto nulla nonostante in esso vi siano incluse azioni che
avrebbero dovuto essere operative alle scadenze indicate. Una ragione deve
pur esserci! E’
anche un fatto che ai cinque scioperi dell’OR.S.A. abbia partecipa un
numero sempre più crescente di lavoratori! E’
un fatto, altrettanto significativo, che le maggiori organizzazioni
sindacali firmatarie di quell’accordo del 23 novembre ’99, dopo aver
assunto al proprio interno una posizione
sostanzialmente uguale a quella dell’OR.S.A. , abbiano chiesto ed
ottenuto, per iscritto dal Ministro Bersani, le stesse assicurazioni che
sono state ritenute dall’OR.S.A. idonee per decidere la revoca dello
sciopero del 10/11 giugno. Ora
non si capisce bene la finalità della polemica oziosa e superficiale che
le stesse organizzazioni sindacali firmatarie del famigerato accordo del
23 novembre hanno innescato subito dopo la firma dell’accordo dell’8
giugno con il quale il Ministro, oltre ad aver conseguito il risultato
della revoca dello sciopero, ha posto seriamente le basi per la
ricomposizione della vertenza e l’avvio di un negoziato, senz’altro
complesso e difficile, che potrebbe effettivamente condurre ad una
trasformazione del CCNL delle FS in un CCNL di sistema delle attività
ferroviarie a cui tutte le imprese del settore possano far riferimento. Si
capisce -ed è comprensibilissima- la difficoltà dei due soggetti
sindacali a ritrovare un minimo comun denominatore dopo la rottura che si
è consumata nel novembre scorso, ma se l’interesse e le tutele che
intendiamo rappresentare sono quelle sulle quali è intervenuto il
Ministro, allora -e questa è la domanda che pongono i lavoratori- perché
continuare nella sterile polemica? Se l’accordo in questione conteneva
le garanzie richieste ed ottenute con lettera del giorno 8 giugno anche
dai sindacati firmatari -contestualmente all’OR.S.A. -, allora che
bisogna c’era di chiederne
conferma al Ministro? La
smettano allora di menare il can per l’aia che i lavoratori sono
disattenti ma non babbei. Ma
veramente pensiamo che le condizioni in cui siamo chiamati ad operare
nell’immediato futuro ci consentiranno di fare questione di lana
caprina, di porre i veti, le bandierine? Possibile
che in alcune realtà sindacali ci si possa ancora arroccare sulla difesa
delle quisquilie come se il distacco tra i rappresentati ed i
rappresentanti non sia assolutamente avvertito come il pericolo più
grosso che oggi corre l’istituto del sindacato? Eppure
la disaffezione dimostrata dagli elettori verso il sistema dei partiti è
sotto gli occhi di tutti noi: lo sfaldamento del sistema dei partiti è il
risultato della mancanza di fiducia tra i cittadini ed i loro
rappresentanti. Ma
attenzione, anche nel mondo del lavoro la sfiducia verso un certo modo di
esercitare la rappresentanza dei lavoratori, ha superato ormai ogni
livello di guardia! I risultati referendari riguardanti proprio le
organizzazioni sindacali (trattenute a ruolo delle deleghe, ecc.) e la
sostanziale rottura del rapporto fiduciario che si sostanzia con lo
scavalcamento del sindacato da parte dei lavoratori che hanno iniziato a
praticare il “fai da te” con la propria azienda, sono segnali
inequivocabili di una declino che rischia di divenire inarrestabile. Sta
a noi tutti evitare di disperdere quel patrimonio di ricchezza ideale che
ha consentito a milioni di lavoratori di ottenere migliori condizioni
contrattuali ed al mondo del lavoro quella emancipazione che ora -anche a
certi livelli di rappresentanza politica e sindacale- vengono scambiati
come privilegi che il nostro Paese non si può permettere. La
stessa disputa che è nata sulla nuova legge che regola gli scioperi nei
servizi pubblici e quella ancora non definitivamente approvata sulla
rappresentanza sindacale, evidenzia che la necessità di contemperare la
garanzia dei diritti costituzionali è troppo spesso soverchiata dalle
esigenze di tutelare il potere delle varie lobby (anche sindacali). Queste
cose minano la credibilità del Sindacato! Una istituzione che non può
essere considerata prerogativa di oligarchie politiche e come tale
corrispondente ai giochi della politica ed indifferente al sentire della
gente che lavora. Il
Sindacato, se vuole continuare a svolgere il suo ruolo fondamentale per la
crescita sociale e la stabilità economica del nostro Paese, deve
recuperare le sue radici e tornare ad essere rispettato ed apprezzato dai
lavoratori. Oggi
gran parte di essi è invisa ai lavoratori che, in molte casi, reputano il
sindacato interlocutore addirittura peggiore del padrone. Se questo ancora
non basta per convincerli a cambiare rotta, allora sono giunti veramente
al capolinea. Mauro Giovannini |